martedì 6 giugno 2017
Naufragi e sbarchi di profughi in cerca di una vita vera. Per l’ex parroco di Lampedusa don Zambito non è solo emergenza, ma incontro col volto di Cristo. Un estratto dal suo libro "Accoglienza"
Accoglienza, il dare e avere dell'Occidente
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Accoglienza è questione attuale imprescindibile nella vita istituzionale e politica. Si è parte nell’agone politico, ma non si accetta di riferirsi a un tutto, all’istituzione, alle regole della rappresentanza e della decisione responsabile del bene comune. Un’accezione di accoglienza sempre più misera e gretta, che di misura in misura degrada dal continente all’appartamento, dall’etnia all’individuo. Accoglienza è vicenda dallo spessore umanissimo dato dalla vita familiare, dalla generazione e dalla vicenda educativa. Mai generata da sé la vita, sempre donata, accolta e accompagnata. Il genere umano perennemente accoglie, rigenera e fa rifiorire oltre ogni morte. L’unico animale dalla memoria lunga, della costruzione sociale e dell’amore educativo: l’unico animale che sa di morire e, solo nella pratica dell’accoglienza, partecipa a una vita che non sia animale.

È questione pubblica, perciò, l’accoglienza: della edificazione della società, del costrutto civico, di un mondo interconnesso non solo sulla rete. Mamme con i loro bambini che chiedono accoglienza, come uomini che vivono la tragedia della guerra o, purtroppo all’opposto, che come noi subiscono la fascinazione del benessere idolatra. Ecco, bussano alla porta: che rispondere? C’è altra possibilità per salvarli e per aver più vita anche noi? La guerra, l’annientamento? L’arricchimento di questa parte, la chiusura del territorio, l’esclusività etnica e religiosa? Ho descritto con tre domande retoriche la versione della vita secondo l’Isis. Il Daesh o stato islamico vede il mondo così: ricchezza esaltata a discapito del resto del mondo, territorio a chiara identificazione etnico religiosa, guerra totale al differente. Se anche l’Italia, l’Europa o l’Occidente la pensassero così, Gesù e la fede in lui, nel suo Vangelo dove starebbero? Non ultimo nel discorso pubblico sull’accoglienza il risalto della comunicazione distorta e dei social.

Dopo i tempi in cui sui media imperavano termini come invasione ed emergenza, ora la comunicazione si articola con espressioni meno generiche e non più fraudolente e fuorvianti. Ma il discorso pubblico emotivo e umorale, di pancia dice qualcuno, è emigrato sui social. In rete ormai predomina il rifiuto preconcetto, così, a prescindere, tanto per rivitalizzare la vicenda della “colonna infame” ( sic). Le considerazioni sull’accoglienza sono per ciascuno di noi incontrovertibili. Come la vita di chi mi sta leggendo, come la vita di ciascuno. L’accoglienza che ci è stata riservata o la sua negazione, quella che abbiamo offerto o noi stessi respinto, chi può misurarla? Chi altro può entrare nella profondità individuale, a chi mai sarà consentito di entrarvi e mostrarci così poveri e nudi da chiedere accogliente riparo? Madre e figlio, marito e moglie, genitori e figli e via assimilando: accoglienza è storia di ciascuno. Interiorità propria e intimità condivisa, a cerchi concentrici. Dio col latte materno. Dal campanile fino e oltre le colonne d’Ercole del mio progetto di vita: chi cercherò perché mi accolga sazio di vita? [...]

«Are you pregnant?» chiede il personale medico sul molo Favaloro a tutte le donne che dalla Sar – battello della Guardia Costiera – hanno appena messo piede a Lampedusa. Più che la domanda forse è chiaro il segno: la dottoressa pone la mano sulla pancia: «Are you pregnant? Sei incinta?». L’altro, qualcuno più di un altro, ti è affine, più prossimo, più simile. Una donna incinta, per esempio, rispetto all’uomo nero con la barba. Il cristiano rispetto all’islamico. La persona vestita rispetto a quella nuda. Povero Cristo promiscuo e diffuso, tutti siamo, nessuno escluso. «Tornatevene nel vostro califfato», dice il cartello. A leggerlo donne cristiane, incinte e con altri bambini già nati, in fuga dall’Isis come da Erode. Accoglienza è legarsi, ricevere, raccordarsi. Oppure, non è accoglienza. Gli dici «sì, ti accolgo» oppure «no, ti respingo» con parole, con la postura, col sorriso. Per la lingua che parli piuttosto che per l’abbigliamento. Accade così dappertutto. Per l’età o per il sesso, per ciò che stai facendo. Ti accolgo o ti respingo: per ciò di cui ho assoluta necessità, per ciò che mi chiedi e non ho voglia di condividere. Giungere a frapporre ostacoli sulla sua strada, finché il differente differisca completamente da me e dalla vita. Vada pure fuori strada, fuori dalla città, e fuori muoia.

L’altro occupa il tuo stesso spazio e chiede tempo, a volte lo elemosina, per una pena da scaricare, una gioia da condividere. Ma lo stesso, in altro tempo, accade a te, implorando dall’altro di farti parte di lui. Al contatto con l’altro, alla percezione sensibile e finanche al passaggio nel solo pensiero della sua esistenza, dentro ciascuno si scatenano passioni primordiali: esaltazione di sé e sopraffazione del concorrente; dichiarazione pubblica del predominio e annichilimento calunnioso dell’altrui esistenza; denigrazione per il limite che il rivale manifesta e impegno ferale perché il contendente accetti il ruolo di capro espiatorio. Esame dopo esame, ciascun esaminato diventato a sua volta esaminatore, non attende altro momento di piena realizzazione che poter dire all’altro: «Per me sei fuori. La tua occasione di vita finisce qui». Oppure. Oppure cosa? « Are you pregnant? Sei incinta? », chiede la ginecologa di turno, la mano sul ventre della migrante bambina, mentre prova a incrociare il suo sguardo. La maggior parte dice sì. Altre abbassano gli occhi, mentre sussurrano no. Ma avranno capito la domanda? E il no è forse pudore? Vergogna a dichiarare una maternità indesiderata e, ancora di più, dirlo a una sconosciuta che non sai chi sia? Ciascun uomo sta dinanzi all’altro, e tutti e ciascuno impegnati a partorire e far partorire uomini e donne, far nascere un mondo, ricreare una creazione che ancora reclama vita e invoca uno Spirito che manifesti pienamente il Verbo affascinante, emozionante. Tutti costretti a prendere posizione, tutti bisognosi che qualcuno si accorga della vita in noi: con discrezione di ascolto, con purezza di sguardo, con delicatezza di gesto. ©

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