giovedì 7 marzo 2013
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Fedeli laici. Dentro la Chiesa e dentro la storia della loro terra, della loro nazione, del loro tempo. Laici cattolici che prendono coscienza di qualcosa oggi forse scontato: il mondo e la storia esigono una formazione rigorosa, una preparazione adeguata. Religiosa e civile insieme. Per poter incidere. Per essere testimoni. Per lasciare un segno... Raccontare la storia della nascita e del primo secolo circa di vita dell’Azione cattolica, vuol dire frugare nella pancia turbolenta della seconda metà dell’Ottocento e della prima metà del Novecento. Significa (come si sta facendo da ieri a Roma al convegno dell’Istituto Paolo VI) ripercorrere le vicende della rivoluzione e della controrivoluzione, di cattolici intransigenti e liberali, della difesa di Roma e del non expedit. Delle domande che i cattolici, da cittadini fino in fondo, si ponevano di fronte all’industrializzazione e alle masse operaie, alle campagne abbandonate, alle aggressioni dell’anticlericalismo; e poi alle dittature, all’educazione e agli interrogativi sempre più pressanti che esigevano una risposta adeguata a una religiosità non superficiale ma forte e incarnata. Se in Italia il primo germoglio dell’Azione cattolica viene considerato nel 1868 la fondazione della Società della gioventù cattolica di Fani e Acquaderni, col motto «preghiera, azione, sacrificio», in Francia bisogna aspettare il 1886 e l’Association catholique de la Jeunesse française di de Mun, con «un’impostazione – spiegava ieri Giorgio Vecchio dell’Università di Parma, della sua relazione introduttiva – tradizionalista e controrivoluzionaria e con lo scopo di preparare la futura classe dirigente cattolica». Ogni Paese è diverso. E poiché l’Ac è fatta di laici, figli della Chiesa universale, ma allo stesso tempo della loro terra e della loro storia, anche le forme dell’impegno cambiano. Se in Italia da un unico corpo nasceranno un giorno i singoli rami, e nuove associazioni sorelle e movimenti d’ambiente e di categorie professionali, il percorso dei cattolici tedeschi è inverso: nel 1896 il Katholischer Jungmännerverband si forma dalla riunione di circa 500 circoli locali, senza contare i movimenti studenteschi cattolici già attivi, tra cui il Quickborn, per gli allievi delle scuole superiori, di cui fu direttore spirituale Romano Guardini. Una storia originale che sarebbe un delitto dimenticare e sottovalutare. Ad esempio, nei primi decenni del Novecento tra le donne italiane, per la loro formazione religiosa e culturale, ebbero un ruolo fondamentale prima l’Unione fra le donne cattoliche d’Italia (Udci), fondata da Maria Cristina Giustiniani Bandini; e più ancora, per le dimensioni e la capacità di mobilitazione assunte in poco tempo, la Gioventù femminile (Gf) di Armida Barelli. Ma è con Pio XI che «l’Ac raggiunge la sua più completa definizione e il maggior appoggio gerarchico possibile». Come annota Vecchio, «l’insegnamento di Pio XI va compreso facendo riferimento ai grandi temi del suo pontificato, quelli connessi alla "restaurazione cristiana" e all’affermazione della regalità di Cristo, ben delineati nell’enciclica Ubi arcano (1922) e ampiamente ripresi nella Quas Primas (1925)». L’Ac cominciava ad assumere la fisionomia che avrebbe mantenuto, pur con le ovvie differenze regionali, fino al Concilio Vaticano II, fungendo «sia da organismo formativo sia da strumento di pressione e mobilitazione». Contrariamente a quanto certa storiografia frettolosa ancora oggi spaccia, nel pensiero di papa Ratti l’Ac «non sarà mai di ordine materiale, ma spirituale; non di ordine terreno; ma celeste; non politico, ma religioso» avendo, «come fine supremo, la diffusione, la difesa e l’applicazione della fede e dottrina cristiana nella vita individuale, domestica e civile». (Quae Nobis, 1928). È da questi anni e con questi atti ufficiali che l’Ac assume davvero una dimensione planetaria, prima aggregazione laicale nella storia della Chiesa. Si diffonde in tutto l’Occidente e non solo. Ad esempio, nel 1934 il martire ugandese Carlo Lwanga è proclamato patrono dell’Ac giovanile del continente africano. Se l’Ac italiana si organizzava soprattutto a partire dalle associazioni parrocchiali, sia pure con movimenti d’ambiente e categorie (lavoratori, studenti universitari, laureati...), diverso era il modello che si affermava in Francia e in Belgio, con le varie "Gioventù" agricola, operaia (tra tutte la Joc belga dell’abbé Cardijn) e studentesca. L’impegno cristiano e civile venne messo a dura prova dalla guerra. L’Ac italiana vide cadere nella guerra di liberazione 1279 soci e 202 assistenti; dirigenti, destinati a diventare famosi, vennero deportati in Germania, come Lazzati. Un giovane dell’Ac tedesca era nella Rosa Bianca. Il presidente dell’Ac di Lublino, il beato Starowieyski, vittima dei nazisti, è il protettore dell’Ac polacca. Molti capi della Resistenza francese provenivano dall’Ac. In Belgio, Cardijn finì in carcere. Sarà poi dopoguerra e guerra fredda. Tutto si complica. Le «inquietudini della fede» si rispecchiano e ripercuotono nella vita dell’Ac. Ormai è Concilio.
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