martedì 24 giugno 2014
COMMENTA E CONDIVIDI

Un tempo l’abito faceva il monaco, il metalmeccanico, l’avvocato, il banchiere, la signora alla moda, il fantino, il musicista, il cuoco, il marinaio, il poliziotto, il medico, il portiere, il giudice, il muratore. Ma oggi? È l'idea di fondo di una originale mostra che apre domani, mercoledì, a Milano. Raccontare attraverso l'abito da lavoro come è cambiata la società e la stessa progettazione: è l'idea di una mostra a cura di Alessandro Guerriero, aperta dal 25 giugno al 31 agosto alla Triennale. «In un epoca in cui il lavoro manca e assume una cittadinanza incerta e si è smaterializzato o si è fatto flessibile, precario o reinventa se stesso aprendo a nuove professionalità. Un tema che anche per questo è diventato centrale in tutta la moda del nuovo Millennio. Ma anche il suo articolarsi e crescere nella prima fase nell’ambito dei social network, che sono nuove forme di società, luoghi abitati, attraversati che funzionano da casa, piazza, vetrina, che somigliano alle persone e alle comunità che le abitano. Un luogo corale, un dispositivo esperienziale dalle tante voci, un fabulatore delle identità e immaginari contemporanei».

(Erwin Wurm)
In mostra saranno presentati 40 abiti da lavoro ideati da progettisti di tutto il mondo: Afran, Rodrigo Almeida, Alberto Aspesi, Gentucca Bini, Denise Bonapace, Andrea Branzi, Nacho Carbonell, Klaudio Cetina, Cano, CoopHimelb(l)au, Dea Curic, Nathalie Du Pasquier, Elio Fiorucci, Matteo Guarnaccia, Nuala Goodman , Daniele Innamorato, Mella Jaarsma, Toshiyuiki Kita, Guda Koster, Colomba Leddi, Antonio Marras, Franco Mazzucchelli, Alessandro Mendini, Angela Missoni, Issey Miyake, Amba Molly, Frédérique Morrel, Margherita Palli, Lucia Pescador, Bertjan Pot, Clara Rota, Andrea Salvetti, Nanni Strada, Tarshito, Faye Toogood, Otto von Busch, Vivienne Westwood, Allan Wexler, Erwin Wurm, Melissa Zexter. Abiti da Lavoro nasce anche dalla generosità di alcuni dei 40 progettisti coinvolti, che, insieme all’Associazione Tam-Tam, diretta dallo stesso Guerriero, hanno voluto accettare la sfida di Arkadia onlus per favorire l’inserimento lavorativo di giovani disabili.

(Margherita Palli)Il percorso è quello usuale della sartoria: si insegna ai ragazzi che frequentano il workshop gratuito di Tam-Tam come si trasforma uno schizzo in un cartamodello. I cartamodelli vengono inviati ad Arkadia Onlus, dove un gruppo di persone con disabilità li trasforma in abiti veri e propri. Abiti da lavoro, appunto. «Le ragazze e i ragazzi di Arkadia misurano, tagliano, cuciono, stirano», come raccontano Alessandra Zucchi e Alessandro Guerriero che in questi mesi hanno imbastito l’idea, tessuto la rete delle relazioni e coordinato la realizzazione della collezione dei 40 abiti in mostra.

(Alberto Aspesi)
L'abito da lavoro nel tempo è diventato l’espressione di scale di potere che definiscono la nostra condizione, trasformandosi soprattutto in habitus, in funzione e segno sociale. Se prima era l’immagine che il mondo ci attribuiva (non si poteva lavorare in banca senza giacca e cravatta)  oggi è l’immagine di ciò che noi vogliamo essere nel mondo. L’abito è corazza della condizione fisica, sociale, morale e culturale di ciascuno e che ciascuno sceglie per sé. Diventa la speranza, più o meno fondata, che ognuno di noi nutre verso se stesso e, nello stesso tempo, la misura, l’immagine e il valore di come ciascuno vive i rapporti interpersonali: l’abito diventa il progetto.

(Lucia Pescador)

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: