giovedì 6 maggio 2010
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Alle soglie del centenario della morte di Leone Tolstoj (avvenuta il 7 novembre 1910), ci si trova dinanzi a questo genio della letteratura come impreparati, complessati, quasi vinti dalle sue opere che rimangono nella memoria di ogni lettore. Tolstoj aveva fatto diversi viaggi in Italia e in Europa intorno al 1857. Nel 1891 vi ritornò e venne a Firenze. Vi rimase alcuni giorni. Motivo del suo viaggio, questa volta, non era la curiosità turistica, o artistica o la brama di conoscere la cultura di nuovi Paesi, bensì la partecipazione a un convegno ecumenico internazionale che ebbe luogo nell’autunno di quell’anno in una sala del palazzo n. 34, viale Principe Amedeo, «per discutere argomenti relativi al miglioramento della società umana sia rispetto allo Stato che alla Chiesa». Motivazione tanto antica quanto nuova, tanto vecchia quanto moderna, tanto elitaria quanto popolare. Sembra di leggere, in certi passaggi delle relazioni, resoconti e verbali relativi ai nostri tempi. Al convegno, dal titolo "Conferenze sulla fusione di tutte le Chiese cristiane", parteciparono intellettuali, politici ed ecclesiastici tra cui Ruggero Bonghi, Cesare Cantù, monsignor Isidoro Casini, il generale Booth dell’Esercito della salvezza, don Pietro Smudowski, della Polonia, altri e il conte Leone Tolstoj, lo scrittore già a quei tempi di fama mondiale. Il convegno fu di vertice, tra pochi intellettuali, non ebbe quindi quella risonanza popolare e di vasta opinione, però si conservano ancora i testi degli interventi dei vari relatori, che sono ancor oggi molto interessanti, stimolanti, direi attuali per le problematiche che presentano; alcuni sono datati, ma altri sono proiettati nell’orizzonte di tutte le stagioni. Gli ultimi decenni dell’Ottocento costituivano un periodo di grandi trasformazioni politiche, sociali, religiose, industriali; c’era nell’aria il desiderio di nuovi orientamenti, di nuove strategie sociali al fine di prepararsi ai grandi mutamenti sociali che si preannunciavano. Non parve strano perciò, anzi spontaneo e ovvio, come osserva Giovanni Guidotti nel suo I tre papi, ossia la pace tra le chiese cristiane del 1893, che «uomini volenterosi, noti per fama, per operosità, per ingegno, e amanti della felicità dei popoli si riunissero insieme al fine di discutere sui prossimi avvenimenti e studiare i mezzi adatti ad avviarli alla buona meta e per allontanare dai popoli scosse e catastrofi». L’intervento di Tolstoj tende ad unire ricordi personali e affermazioni di principio per avvalorare il messaggio di pace e di convivenza tra i popoli e il rigetto della guerra e di ogni violenza e l’unione tra le Chiese cristiane. Dice tra l’altro: «Una delle mie massime enunciate è: non opporsi al male. Di questo mio principio mi hanno fatto un titolo di accusa tacciandomi di rivoluzionario, o peggio; ma è questione di rassegnazione, di carità del prossimo, di commiserazione pei poveri di spirito…. Per questo medesimo principio ho dovuto dichiarerete un’iniquità la guerra, qualunque essa sia. E qualunque ne sia la causa: i popoli della terra sono fratelli e hanno a vivere in santa pace…. Come vedete, miei illustri colleghi, i miei principi hanno la loro base nell’Evangelo e perciò ho potuto accattare il lusinghiero invito a questa conferenza e ben volentieri sono venuto qui in mezzo a voi per trattare del modo di ricondurre la religione cristiana alle primitive sue fonti, pure e limpide, e di ricostruire una Chiesa unica che la esplichi e la rappresenti, trasformando e fondendo amorevolmente tutte le Chiese cristiane esistenti… Io applaudo dunque alla proposta di fondere le Chiese cristiane in una sola che abbia per capo il Papa di Roma e per base la sua organizzazione esteriore la formula cavouriana e per fondamento del suo pensiero le massime di Cristo  e dell’Evangelo».
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