sabato 6 settembre 2014
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Rocco e i suoi fratelli. Quelli che, nonostante gli “anta”, vanno ancora in campo, magari con un filino di pancetta, con i muscoli un po’ più arrugginiti di ieri, consumati dall’usura e dal tempo che è passato da quando giocavano in Serie A. Rocco è Pagano, ala destra indimenticata di Pescara e Perugia anni 80’-’90 che a 51 anni «li compio il 23 settembre» è pronto per la sua 33ª stagione da protagonista nei dilettanti della Tollese (Prima categoria d’Abruzzo) e per tagliare il traguardo-record che, stando agli ultimi conteggi non avrebbe toccato neppure “O Rey” Pelè: 1000 partite disputate in carriera.«Così dicono, pare che tra campionato e Coppa Italia siamo sulle mille, ma io non le ho mai contate. So solo che ho giocato e segnato in tutte le categorie, dalla Prima alla serie A». Quest’ultimo, un gol in ogni dove del pianeta calcio, è un primato che condividerebbe con Totò Martorella, altro attaccante del Pescara «ma lui è un giovane (classe 1970) e l’ultimo gol lo ha fatto su rigore a tempo scaduto. E poi ha smesso», dice ridendo il guascone Pagano che entra ed esce dalla Cantina Tollo, sui colli teatini. «Chiuso con il professionismo mi sono messo a promuovere e vendere i vini di questa splendida cantina. Abbiamo un rosso che è una “Ferrari” e raccomando a tutti anche il Trebbiano. Giro l’Italia come quando giocavo, cerco di allenarmi con continuità e nonostante una sciatalgia che mi ha lasciato in dono l’ultimo campionato, riesco ancora a giocare, diciamo pure in scioltezza, 20-25 partite a stagione». Oscar Buonamano, voce del calcio pescarese e volto di Rete8 giura che «sull’uno contro uno è ancora il Pagano dell’era Galeone».Il mister filosofo Giovanni Galeone, il “Profeta” dell’Adriatico che andava in estasi leggendo Camus sulla spiaggia di Francavilla e contemplando il dribbling secco con finta alla Garrincha, a saltare sistematicamente l’uomo, del suo Rocco. «Pagano era uno che i difensori li mandava al manicomio», ricorda il “Profeta”. Ne sa qualcosa Paolo Maldini che una decina di anni fa durante la trasmissione “Controcampo” confessò a uno spiazzato Sandro Piccinini: «L’attaccante che mi ha messo più in difficoltà? - attimo di esitazione e poi il nome che non ti aspetti - Rocco Pagano, del Pescara». Re per una notte, ma l’interessato spense la tv un attimo prima della rivelazione a sorpresa del monumentale Maldini. «Quando il giorno dopo lo seppi, ricambiai con un telegramma spedito a Milanello, ma con Paolo non ci siamo mai incontrati, né parlati al telefono. Spero che un giorno accada».Non accadrà mai invece che vedrete Rocco Pagano seduto su una panchina, nonostante sia stato uno degli allievi prediletti della premiata “Scuola Galeone”. «Gasperini, Camplone, Di Cara, Bergodi, Allegri, erano già allenatori quando giocavano con me. Io appena facevano gruppetto per discutere di tattica mi mettevo a palleggiare a distanza - sorride - . C’è chi nasce per insegnare calcio e chi come me gioca finché può, solo per divertirsi e per divertire la gente». Il calcio continua ad essere quel sogno iniziato da ragazzino quando, valigia in mano, da Sannicandro Garganico salì a Torino per entrare nelle giovanili della Juventus. «Guardavo Causio e quei campioni del mondo dell’82 come delle chimere. Non ci avvicinavamo neppure per fare le foto. Ero una mezzala alla Tardelli, poi al Derthona l’altro mio maestro di campo, Angelo Domenghini, mi prese da parte e mi disse: “Rocco, tu sei nato per fare l’ala destra, come me”. Aveva ragione Domingo. Intuizione dell’ala del Cagliari dello scudetto del Cagliari di Scopigno e Gigi Riva, il Domingo vicecampione del mondo a Messico ’70. Traguardi prestigiosi che Rocco, nonostante le reiterate lusinghe delle grandi, non ha mai raggiunto. «Sono stato una delle tante vittime dell’era pre-Bosman. L’anno della promozione in A con il Pescara mi voleva il Napoli che in cambio offriva il fratello di Maradona, Hugo. I miei dirigenti mi dissero: “Ci dispiace Rocco, ma questi ci vogliono ammollare un bidone”. Stavo per andare all’Inter di Trapattoni, ma alla fine dal Cesena presero Matteo Bianchi che vuoi anche per gli infortuni non fece una buona riuscita».Parla sempre con il sorriso Pagano, senza i rimpianti di chi non ha mai avvertito la “solitudine dell’ala destra” del poeta Acitelli. «La gente mi vuole bene e mi ricorda ancora. I giovani in campo mi rispettano sempre. Qualcuno mi chiede anche consiglio, ma a volte mi arrabbio quando sento parlare di “rottamazione” anche nel calcio. Le quote fisse degli under imposte dai dilettanti fino alla Lega Pro, hanno sensibilmente abbassato il livello tecnico. I Totti e i Del Piero, per me possono stare in A fino a 50 anni. Dovrebbe giocare chi sa e merita, e non perchè hai 18 anni, e magari e nessuno ti ha mai insegnato a stoppare il pallone».Unico scatto di grinta di un 51enne pacifico, disincantato, il Rocco che al pallone invece continua a dargli del tu e ad accarezzarlo con la stessa finezza con cui una domenica di tanto tempo fa fece piangere l’Inter e poi la Juve. «Ho avuto la fortuna di giocare con due considerati “vecchi” ed erano semplicemente dei geni, uno incompreso, Blaz Sliskovic, l’altro, un brasiliano puro come l’eterno Leo Junior che d’estate torna in vacanza a Pescara». Chi non ha più incontrato dopo i fasti del Perugia della seconda era Galeone, è il vulcanico presidente degli umbri, Luciano Gaucci. «Nel bene e nel male, Gaucci resta un personaggio, un generoso che ha pagato per aver “pizzicato” i potenti del sistema, che gira che ti rigira poi sono ancora gli stessi».Tipo i Tavecchio che da presidente della Lega Dilettanti avrebbe generosamente disseminato campi in sintetico in tutta Italia. «In Abruzzo deve essersi dimenticato di farli - sorride Pagano - . L’unica cosa che mi preoccupa è che, cambiando girone, quest’anno giocheremo su tanti campacci sterrati e pieni di buche. Ma va bene lo stesso. Finché mi diverto io resto lì, sulla fascia, a fare quello che mi piace di più, l’uno contro uno».
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