giovedì 28 maggio 2015
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Vengono chiamate, un po’ genericamente, “passeggiate spaziali”. Ma sono tutto fuorché delle “passeggiate”. Operazioni molto complesse e faticose all’esterno di una navicella o stazione spaziale, che sembrano diventate routine ma non lo sono affatto. Lo sa bene Luca Parmitano, astronauta dell’Esa europea, primo italiano a compiere una passeggiata nel vuoto spaziale, nel luglio 2013, e autore di Volare. 166 giorni con @astro_luca (Rai-Eri, pagine 144, euro 16,90), il diario di bordo della missione che inizia già dalle settimane precedenti il lancio, con molti episodi curiosi, inediti, in alcuni casi divertenti, riflessioni, momenti felici e in alcuni casi drammatici.La prima volta, nella storia dell’astronautica, risale a cinquant’anni fa, quando venne effettuata per la prima volta nella storia una “passeggiata spaziale”. Protagonista, il cosmonauta sovietico Aleksej Leonov, che prendeva parte, assieme a Pavel Beljaev, alla missione della navicella Voschod 2. Era la prima di una lunga serie di quelle che in gergo tecnico si chiamano Eva, in italiano “attività extraveicolare”. Da allora, dopo la risposta americana, tre mesi dopo con Edward White della Gemini 4, ne sono state effettuate molte: a oggi, sono 360. «È senza dubbio una delle più complesse, certamente la più emozionante e spettacolare operazione spaziale, dal lato individuale, per un astronauta», conferma Luca Parmitano, dell’equipaggio della Spedizione 37 sulla Stazione spaziale internazionale.Parmitano, 38 anni, è maggiore pilota dell’Aeronautica militare. È diventato astronauta nel 2009 e ha preso parte alla missione di lunga durata (166 giorni) Volare dell’Agenzia spaziale italiana, da maggio a novembre del 2013. Nel mese di luglio effettuò due attività esterne alla Stazione spaziale: indossando lo scafandro Emu della Nasa, con bandierina italiana cucita sul braccio sinistro, ne compì una prima il 9 luglio, della durata di sei ore, con un lavoro lungo e complesso che venne portato a termine con grande successo assieme al suo compagno di missione, lo statunitense Chris Cassidy. «L’attività extraveicolare – dice Parmitano – è davvero un misto di emozioni. Con lo scafandro, fuori dalla Stazione, vi sono aspetti tecnici di rilievo, che catturano tutta l’attenzione e la concentrazione dell’astronauta, e la focalizzano su tutti i compiti, e sono numerosi, che deve svolgere durante l’attività esterna. E poi c’è anche un aspetto che definirei romantico. Per me è stato l’aver contribuito, con le mie attività extraveicolari, a un importante risultato per l’astronautica italiana. Con le mie attività l’Italia entra infatti a pieno diritto tra le nazioni che possono vantare propri astronauti a passeggiare nello spazio. Lo scafandro Emu della Nasa è realizzato in diverse componenti. Non solo i due tronconi principali, ma anche le braccia, che sono componibili, le scarpe, i guantoni, lo “zaino”... La vestizione richiede venti, venticinque minuti, aiutati da un altro astronauta. Prima della depressurizzazione, e per circa un’ora, respiriamo ossigeno per eliminare l’azoto dal corpo; poi, nella camera stagna, la depressurizzazione avviene in circa quindici minuti. Infine l’apertura del portellone, l’uscita e lo spettacolo mozzafiato dell’immensità del cielo stellato da una parte, e della Terra al di sotto».La settimana successiva, il 16 luglio, Luca e Chris uscirono nuovamente all’esterno, ma questa volta la “passeggiata”, mentre tutto stava ancora filando liscio, venne interrotta dopo circa un’ora: Parmitano comunicò di vedere gocce d’acqua che vagavano nel casco della sua tuta. Prima poche, e piccole, poi sempre di più e più grandi, alcune s’infilarono nell’auricolare sotto la cuffia. L’attività extraveicolare venne interrotta bruscamente, ed è stato uno dei pochi casi tra tutte quelle fino a oggi effettuate; si scoprì in breve tempo che ci fu un guasto alla pompa del sistema di raffreddamento principale: «Il cuore del sistema, che si trova nello zaino portatile dello scafandro. Una componente importante, già modificata per gli scafandri attuali. Grazie a queste modifiche, d’ora in poi non si verificherà più un guasto di questo genere», dice Parmitano, che in questo modo ha contribuito, tecnicamente, a rivedere le procedure di emergenza degli scafandri americani. Grazie alla sua freddezza e lo straordinario modo di agire, evitò un epilogo drammatico, e alla stessa Nasa viene complimentato per il suo operato in un momento così problematico (e per certi versi, drammatico): «Sicuramente ho cercato di agire e fare tutto con freddezza – aggiunge – e comunque l’addestramento ricevuto, che prevede fasi di emergenza, mi ha aiutato molto».Gli chiediamo infine se nei 166 giorni trascorsi in orbita si è sentito in qualche modo più vicino al cosmo, anche in modo spirituale: «È un’esperienza straordinaria, che sicuramente ti cambia dal lato umano – dice Luca – e ti fa assumere maggiore consapevolezza su tante cose. Io però direi che, più che sentirsi più vicino al cosmo, ti spinge a guardare più dentro te stesso e a quell’infinitamente piccolo, ma altrettanto grande, che c’è dentro di noi».
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