giovedì 17 luglio 2014
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​Dei corridori ciclisti si può pensare e dire quello che si vuole ma non si può negare la loro grande forza di volontà alimentata da un carattere granitico. Un carattere che fa sopportare sacrifici impietosi, fatiche disumane, dolori lancinanti e i continui rischi della strada. Sempre in silenzio, senza cantilene lamentose. Il ciclismo è il loro mestiere, pedalare fino al traguardo un dovere, un segno di rispetto per i tanti tifosi assiepati sulle strade che ricambiano con un applauso e un urlo di incitamento. Ed è questo carattere che due giorni fa, al Tour de France, ha fatto risalire in sella Alberto Contador, nonostante le fitte per la tibia fratturata, prima di arrendersi definitivamente al dolore una ventina di chilometri dopo. Lo stesso stoicismo che oggi ha spinto lo statunitense Andrew Talansky a raggiungere il traguardo di Oyonnax, di portare a termine la sua personale “via Crucis”. Ultimo, con solo l’ammiraglia e l’ambulanza alle sue spalle, a pedalare contro i dolori e il cronometro, perché c’è anche un tempo massimo entro il quale arrivare, se lo si supera si viene congedati dalla corsa. Talansky ha il corpo tappezzato di cerotti, a 80 chilometri dalla meta scende di bicicletta e fa persino fatica a ritrovare la posizione eretta, la sua schiena è acciaccata dalle tante cadute, restare in sella è un tormento. Si appoggia a un muretto paracarro, non riesce ad andare avanti. Il direttore sportivo lo invita a ripartire e lui si lascia convincere anche se aveva sognato un Tour diverso. Il corridore statunitense vince la sua personale tappa, per una manciata di secondi rientra nel tempo massimo. Poi, domani è un altro giorno e si vedrà. Anche se alla corsa non può più chiedere niente. È arrivato ultimo ed era partito con l’ambizione di vincere, di indossare la maglia gialla, di bissare la beffa perpetrata a Contador, Froome e allo stesso Nibali nel Giro del Delfinato, l’ultima gara prima del Tour, quando nella tappa conclusiva aveva fatto esplodere tattiche e gruppo, e aveva scalato la classifica fino al gradino più alto del podio finale. Un blitz che lo aveva inserito fra i principali favoriti della Grande Boucle. Ed è sempre questione di carattere se Tony Gallopin ha vinto la tappa con un assolo da finisseur eseguito negli ultimi due chilometri. Il giovane corridore transalpino aveva indossato la maglia gialla il 14 luglio, il giorno della festa nazionale, e lo stesso giorno l’aveva persa, sprofondato nelle retrovie del gruppo e nella vergogna per non averla difesa in quel giorno così speciale per tutti i francesi. Oggi Gallopin ha cercato il suo personale riscatto. E lo ha trovato, perché i corridori sanno che quando si cade bisogna risalire in sella e ripartire. E cosa dire della tempra di Peter Sagan che dopo 11 tappe e 9 piazzamenti a pochi centimetri dalla vittoria ancora non si arrende a una pur comprensibile crisi di nervi? Che ancora resta in corsa anche se vorrebbe scappare via? Ogni volta che il traguardo si avvicina lo slovacco è uno dei principali favoriti, l’uomo veloce che può bruciare chiunque, gli avversari lo sanno e si comportano di conseguenza lasciandolo da solo a lottare contro tutti e lui puntualmente ne esce sconfitto. Ma non demorde e continua ancora a cercare la vittoria. Il suo carattere non contempla la resa.
L’ordine d'arrivo dell'11ª tappa, da Besancon a Oyonnax, di 187,5 km: 1. Tony Gallopin (Fra) 2. John Degenkolb (Ger) 3. Matteo Trentin (Ita) 4. Daniele Bennati (Ita) 5. Simon Gerrans (Aus) 6. José Joaquin Rojas (Spa) 7. Greg Van Avermaet (Bel) 8. Samuel Dumoulin (Fra) 9. Peter Sagan (Svk) 10. Kévin Reza (Fra)
La classifica generale:1. Vincenzo Nibali (Ita) 2. Richie Porte (Usa) a 2'23"3. Alejandro Belmonte Valverde (Spa) a 2'47"4. Romain Bardet (Fra) a 3'01"5. Tony Gallopin (Fra) a 3'12"6. Thibaut Pinot (Fra) a 3'47"7. Tejay Van Garderen (Usa) a 3'56"8. Jean-Christophe Peraud (Fra) a 3'57"9. Bauke Mollema (Ola) a 4'08"10. Juergen Van den Broeck (Bel) a 4'18"
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