mercoledì 29 dicembre 2021
Nella silloge poematica “INRI” mette insieme il muto splendore del paesaggio cileno e la violenza umana durante il regime dittatoriale
Raúl Zurita durante una lettura all’Università Cattolica di Santiago nel 2019

Raúl Zurita durante una lettura all’Università Cattolica di Santiago nel 2019 - WikiCommons

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Una delle vocazioni più alte della poesia è dare voce ai dimenticati, agli outsider, a coloro che la guerra e l’ingiustizia hanno tragicamente divelto dalla storia. È questo il senso di INRI, silloge in forma poematica di uno dei massimi autori cileni, Raúl Zurita, classe 1950, professore di scrittura creativa all’Università Diego Portales di Santiago, recentemente insignito del Premio Elena Violani Landi. Pubblicato in origine nel 2003, INRI è disponibile ora in traduzione italiana da Edicola Ediciones con la partecipe curatela di Amaranta Sbardella (pagine 160, euro 18,00). Zurita è un poeta politico tout court; i suoi versi distesi, tendenti alla prosa (lontani, dunque, dalla concentrazione petrarchesca di Óscar Hahn), incrociano la sapidità matematica di Parra e il decentramento paratattico di Neruda. In INRI peculiarmente, come in un romanzo di Cormac McCarthy, Zurita mette insieme il muto splendore del paesaggio cileno – le sue maestose arcate di “nubi feroci” che sorvolano le cordigliere – e la violenza umana durante il regime dittatoriale (1973-1990), periodo che ha visto il poeta, peraltro, protagonista di numerose iniziative di resistenza. Al centro di queste forze in contrasto c’è l’esperienza di Cristo, ravvisabile in Bruno, Susana, Odette, María e in tutti gli oppressi che risorgono nella salvezza della memoria lirica. «Cadono sorprendenti Cristo in strane posture sulle croci del mare. / Dal cielo piovono sorprendenti pasture: piove un’ultima preghiera, / un’ultima passione, un ultimo giorno sotto gli osanna del cielo». Come ha giustamente osservato Sbardella, «sono l’amore e la scrittura a consentire l’ascesa dai tratti biblici e cristologici. Zurita stesso si confonde con i corpi e invoca un tu, una figura femminile salvifica, con cui condividere il destino e sperare in una nuova nascita».

Professore, perché i desaparecidos della dittatura «sono come Cristo»?

Al di là di ogni credo, il fatto concreto della crocifissione ci mostra l’infinita violenza che l’essere umano può esercitare su altri esseri umani. Non ci sono parole, mancano immagini che possano descriverci quel momento mostruoso in cui un corpo che è stato torturato all’indicibile diventa un corpo desaparecido. Non abbiamo parole per raccontare la sofferenza estrema di un essere che sta morendo sulla Croce. Eppure, proprio perché non le abbiamo, dobbiamo gridarle, gridare quel «Padre, padre perché mi hai abbandona- to» fino a rimanere senza voce. Dobbiamo pregare, anche se dovessimo credere che ciò che preghiamo non c’è. Ma va fatto, è imperativo farlo.

L’acronimo INRI ritorna frequentemente nel testo. Quale significato ha per lei?

Qui giace il Re dei Giudei, è l’infinita beffa. Ogni omicidio è l’infinito scherno, e la croce ne è un altro esempio. Perché un essere umano non viene ucciso una volta, viene ucciso infinite volte, viene ucciso in ogni centimetro della terra che avrebbe potuto calpestare e in ogni tramonto che avrebbe potuto guardare e non guarderà più. Questo è l’INRI per me: la presa in giro dell’assassino nei confronti delle sue vittime. È anche un grido, inrrrrrrrrirrrriiiiiiiiiiiii, che non finisce mai.

Si avverte una chiara influenza dantesca in questo libro e nei precedenti, in particolar modo Anteparaíso e La vida nueva.

Dante è il più grande poeta della solitudine. Solo un poeta della sua stazza poteva intraprendere un viaggio attraverso ciò che è da sempre e per sempre fuori del linguaggio, cioè attraverso la morte, per sentire Beatrice dire le cose che non gli ha mai detto, le cose che in vita non ha mai detto. E sentirle dire come se non fosse lui stesso a raccontarle. Dante alla fine della Commedia vede Dio e afferma che ha il colore del volto umano, ma alla luce delle tragedie del nostro tempo potrebbe essere il suo stesso volto che si staglia contro l’infinito spazio delle stelle.

In che senso «scrivere è un esercizio privato di resurrezione»?

Scrivere è un atto estremo, per scrivere devi bruciarti interamente, consumarti finché non rimane più un brandello di muscolo, osso o carne. È un sacrificio assoluto e nello stesso tempo è la risurrezione da quella morte. Devi risorgere dalle tue stesse ceneri, ordinare un po’ ciò che è rimasto dei tuoi resti bruciati. Quelle ceneri sono le poesie.

In che modo la letteratura può influenzare le complesse realtà politiche di oggi?

La letteratura e, più in generale, l’arte non possono rovesciare una dittatura o risolvere il cambiamento climatico o eliminare gli omicidi o fermare lo sfruttamento o spazzare via le guerre. Ma senza l’arte nessun reale cambiamento è possibile, perché la sua fine significherebbe che i sogni sono terminati. Si può sopravvivere tre giorni senza acqua, ma senza il sogno l’umanità morirebbe in cinque minuti.

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