lunedì 27 maggio 2013
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Doveva essere il Giro dei duelli, invece è stato il Giro dei monologhi. Vincenzo Nibali senza avversari in classifica, Mark Cavendish senza rivali negli sprint. Ma non è stato un Giro monotono. Fughe e colpi di scena fin dai primi chilometri, pronostici ribaltati, e l’insidia del maltempo ad arricchire di suspense e spettacolo la corsa. Nibali ha perso per strada gli avversari più temibili come Bradley Wiggins, maglia gialla al Tour de France dello scorso anno, e Ryder Hesjedal, maglia rosa nel 2012, incapaci di affrontare gli imprevisti della corsa, di reagire alle mille insidie di un Giro d’Italia finalmente tornato bello e combattuto. Un Giro degno di essere affiancato alla Grand Boucle e non più subalterno. Le velleità degli altri antagonisti si sono spente lungo la strada, freddate dalla sicurezza della maglia rosa e dal clima polare. Il successo di Nibali non è mai stato messo in discussione, soprattutto dopo che ha iniziato a edificarlo su quel terreno sabbioso - per lui – della cronometro di Saltara. Ed è proprio nelle prove contro il tempo che il corridore siciliano ha manifestato il suo definitivo salto di qualità passando dal ruolo di apprendista campione a fuoriclasse. Nibali è cresciuto dal punto di vista tecnico-tattico e, ancora di più, da quello umano. Si è mosso in gruppo da padrone illuminato, capace di lasciare spazio a chi doveva guadagnarsi quotidianamente la pagnotta e di monopolizzare l’attenzione quando la corsa richiedeva una prova di forza, un gesto da consegnare alla storia della bici. Come lasciare la sua impronta sulla neve delle Tre Cime di Lavaredo. L’umanità di Nibali è l’umanità del ciclismo, riemersa prepotentemente attraverso i gesti e le mille storie dei suoi protagonisti, i sorrisi e le lacrime di chi la sua giornata di lavoro la passa appollaiato su un trespolo in metallo pedalando impassibile sotto il sole cocente o in mezzo a un temporale. Un ciclismo che ha riallacciato il filo con la sua storia, ritrovato l’affetto popolare e l’autorevolezza, capace di indignarsi con chi non ha capito che in gruppo qualcosa è cambiato. Un ciclismo che ha riacquistato la forza per spazzare via le polemiche che solo qualche mese fa lo avrebbe sotterrato. E che qualcosa è cambiato lo si vede dai particolari, a cominciare da quei corridori che cadono a terra stremati dalla fatica subito dopo aver tagliato per primi la linea d’arrivo: Degenkolb a Matera, Cavendish a Cherasco e Visconti sul Galibier, così come Cancellara che si era accasciato sul prato dopo il trionfo alla Parigi Roubaix. I ciclisti sono tornati sulla terra, non sono più extraterrestri invulnerabili e la gente se ne è accorta. Vincenzo Nibali è il volto nuovo dal quale si è ripartiti, alla sua ruota ci sono decine di giovani pronti a scattare per prendersi quella maglia rosa diventata quasi fucsia. Ma è ancora presto per detronizzare il nuovo re perché il sovrano vuole allargare il suo dominio e mettere anche un po’ di giallo sulla sua corona. Però, deve pazientare ancora un anno: un Tour de France bisogna programmarlo, prepararlo senza disperdere le energie. Un re non può lasciare niente al caso.
Ordine d’arrivo: 1. Mark Cavendish 2. Sacha Modolo 3. Elia Viviani 4. Giacomo Nizzolo
Classifica finale: 1. Vincenzo Nibali 2. Rigoberto Uran a 4'43" 3. Cadel Evans a 5'52" 4. Michele Scarponi a 6'48" 5. Carlos Alberto Betancur a 7'28"​​​​​
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