venerdì 13 agosto 2021
La tela ritrovata nell'aprile scorso è subito apparsa come un'opera autentica: un libro di Sgarbi ricostruisce la vicenda
Il dipinto che raffigura l’“Ecce Homo” andato in asta a Madrid (e subito ritirato) che molti esperti hanno attribuito a Caravaggio

Il dipinto che raffigura l’“Ecce Homo” andato in asta a Madrid (e subito ritirato) che molti esperti hanno attribuito a Caravaggio - -

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Nei giorni della Settimana Santa di quest’anno un Ecce Homo ha messo in agitazione molti, ma non per una dolorosa empatia col protagonista della vicenda. Il fior fiore dei critici d’arte, dei mercanti, dei direttori di musei e dei grandi collezionisti è andato in fibrillazione quando un dipinto di elevata qualità è stato messo in asta a Madrid all’inizio di aprile. Si potrebbe dire che il caso fu tempestivo, considerando il calendario liturgico. In realtà, quell’Ecce Homo scatenò una guerricciola (silenziosa) fra i mercanti del tempio dell’arte quando con i primi sms – pare che vi sia stato un effetto a cascata dopo alcune fotografie che erano circolate pare già dal 25 marzo sugli smartphone di tanti del mestiere – molti vennero folgorati da quell’Ecce Homo messo in vendita per soli millecinquecento euro e assegnato genericamente alla cerchia di Jusepe de Ribera: «è Caravaggio!», fu la reazione quasi unanime. Consensi immediati. Proprio il contrario di quello che accade tra studiosi solitamente seri e prudenti. Posso dire di essere stato proiettato in prima linea quando il lunedì di Pasquetta, 5 aprile, lo storico Massimo Pulini mi chiamò per dirmi che aveva fatto una sensazionale scoperta: ancora la notizia non era circolata, se non segretamente fra i conoscitori (alcuni tenevano il riserbo nella speranza di fare il colpaccio accaparrandosi l’opera senza troppa pubblicità: come l’Italia, anche la Spagna infatti ha leggi che possono bloccare l’uscita di un capolavoro dai propri confini). Pulini arrivò lo stesso giorno a casa mia con una perizia che aveva condotto sulla base di fotografie particolareggiate eseguite da un antiquario di fronte all’opera, per rivelarmi che si trattava di un Caravaggio. Lo storico non era nuovo a imprese simili (Guercino, Cantarini, Lillio ecc.), ma in particolare aveva attribuito nel 2011 a Caravaggio un ritratto conservato al Museo di Montepulciano, che ipotizzò raffigurasse Scipione Borghese prima che fosse creato cardinale. Decidemmo, come giornale, di montarci sopra una pagina dove Pulini documentava, con le foto inedite, la scoperta, che nello stesso tempo fu resa nota anche da altri – Cristina Terzaghi, Vittorio Sgarbi –, quando il dipinto ormai era stato ritirato dall’asta per eccesso di interesse, con offerte che sfioravano alcuni milioni di euro. Il Prado si mosse prontamente e lo Stato spagnolo pose l’altolà. Vittorio Sgarbi fu tra i primi ad accorgersi del quadro – sollecitato da un “cane da tartufi” che passa in rassegna i cataloghi d’asta e suggerisce a critici e antiquari opere da acquistare, Antonello Di Pinto – e lo attribuì senza esitazione, cercando finché fu possibile di non far trapelare la notizia e muovendosi per formare una cordata d’acquisto che avrebbe dovuto riportare in Italia il dipinto. Oggi lo racconta nel libro Ecce Caravaggio (La nave di Teseo, pagine 294, euro 20). Lo fa con la collaborazione di altri otto studiosi – stranamente senza coinvolgere né Pulini né la Terzaghi. D’altra parte, Sgarbi non condivide l’opinione di Pulini sulla datazione dell’opera: non sarebbe, infatti, il quadro che Pulini ritiene sia quello della gara voluta dal cardinale romano Massimo Massimi, perché, dice Sgarbi, in questo caso si tratterebbe di un’opera molto più grande di quella rinvenuta a Madrid. Il dipinto invece sarebbe da collocare fra la Cena di Emmaus di Brera e la Flagellazione di Napoli. Quindi dopo il soggiorno romano del pittore. Tesi plausibile, ma da approfondire. Sgarbi parla in tal senso di stile «rapido e sprezzato», per un quadro dove «non c’è finzione, teatro; c’è la realtà nuda e cruda», e chiama a confronto l’Ecce Homo di Tiziano oggi al Prado; ancora sullo stile aggiunge: «Secco, sintetico, drammatico senza retorica». Riguardo all’enorme clamore che il quadro ha suscitato fra gli addetti ai lavori – forse anche di più del Salvator Mundi attribuito a Leonardo –, Sgarbi ammette, senza negare di esserne stato protagonista: «i tanti interessi prevalgono sulla pura speculazione intellettuale ». Nella scoperta del quadro restano punti non chiariti di una certa importanza: com’è possibile che una casa d’aste rispettabile proponga un quadro di questa qualità pittorica a un prezzo base inferiore ai duemila euro (considerato che anche fosse della cerchia di Ribera avrebbe dovuto averne uno dieci volte maggiore)? Secondo: com’è pensabile che i proprietari – tre fratelli della famiglia che possiede l’opera dal 1823 e che gestiscono da anni a Madrid una scuola d’arte e design –, abbiano messo in vendita il quadro senza rendersi conto che possedevano un’opera di così grande qualità? Su questo e sulla caravaggiomania che si è impadronita di tutti – critici mercanti e pubblico –, ho svolto alcune considerazioni in un articolo pubblicato nell’ultimo numero delle rivista “Vita e pensiero” (3/2021), esponendo anche qualche perplessità sull’autografia del dipinto (il coro pressoché unanime ha trovato pochi dissensi, tra questi, per esempio, quello di Antonio Vannugli). Conferme o sorprese in merito potrebbero venire comunque solo dopo una pulizia adeguata dell’opera e una ulteriore ricerca documentaria.

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