sabato 26 ottobre 2013
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«Il nuovo Papa parlerà a tutti, si rivolgerà a tutti, anche ai non credenti»: così, la mattina del 13 marzo scorso, scriveva il poeta Giuseppe Conte sulla prima pagina di Avvenire. Una richiesta che poi, nel giro di poche ore, si è trasformata in profezia, sia pure involontaria, con l’elezione di Francesco. «Oggi non avrei altro da aggiungere – dice l’autore di Il male veniva dal mare –, se non forse il desiderio che questa missione possa proseguire a lungo, in modo sempre più efficace». Ligure di Porto Maurizio, classe 1945, Conte è da sempre un osservatore attento (e niente affatto condiscendente) di quello che accade nel mondo cattolico. È, più che altro, un inquieto della spiritualità. La sua ricerca è partita dall’esplorazione del mito, lo ha portato a costeggiare i territori dell’islam e delle filosofie orientali e, più di recente, lo ha indotto a riconsiderare la tradizione cristiana. Gli piace ricordare, in questo senso, un suo romanzo del 2008, L’adultera, che dà voce alla protagonista del celebre episodio evangelico: «Mi interessava indagare il tema della misericordia – spiega –, che mi sembra centrale nel pontificato di Francesco».È sorpreso dallo stile del Papa?«Solo in parte, sarei tentato di rispondere. In un certo senso, infatti, la rinuncia di Benedetto XVI era un gesto talmente straordinario e rivelatore da esigere una risposta altrettanto forte, di impatto quasi traumatico. Quello che non si poteva prevedere, invece, era che il Papa venisse da tanto lontano: che fosse il primo, cioè, a essere scelto in un altro continente e non nella nostra Europa».E questo ha a che vedere con lo slancio per un dialogo rinnovato tra Chiesa e mondo?«Credo proprio di sì. Ho in mente un lungo viaggio di qualche anno fa, ore e ore in pullman attraverso l’Argentina, da Rosario a Buenos Aires. Un paesaggio in apparenza spoglio, ma di respiro inesauribile. Distese enormi che segnano confini mobili. Sono, mi pare, gli elementi caratteristici di papa Bergoglio: la capacità di parlare con semplicità alle persone semplici, l’apertura all’interlocutore, la consapevolezza di abitare la frontiera».Tutto questo, per molti intellettuali laici, è considerato una novità assoluta...«Sì, me ne rendo conto, ma ho l’impressione che tanto stupore sia frutto di un equivoco o addirittura di un pregiudizio. Il cristianesimo è per sua natura aperto e dialogante. Semmai è il laicismo all’antica, illuminista a oltranza, che fatica a mettersi in discussione. Se c’è una “chiesa” che dovrebbe imparare ad aprirsi, questa è proprio quella dei laicisti più intransigenti».Come mai?«Il nodo è rappresentato, ancora oggi, dalla posizione nei confronti del nichilismo. Francesco non ne fa una questione concettuale, però nella scelta di gesti particolarmente eloquenti dal punto di vista simbolico (la visita a Lampedusa, per esempio) dimostra la possibilità di dire sì alla vita in modo schietto e concreto. Una lezione di misericordia, ancora una volta, un omaggio alla continuità dell’essere che tuttavia tiene in conto, e molto seriamente, il rischio nichilista».Da dove le viene questa valutazione?«Dalle preferenze letterarie del Papa. Ama Borges, da buon argentino. E ha un debole per Manzoni, comprensibilissimo per un credente. Ma l’insistenza su Hölderlin ha davvero qualcosa di sorprendente. L’esperienza di Hölderlin è così radicale, così tesa verso l’assoluto e, nello stesso tempo, sospesa sull’abisso che ormai perfino i poeti preferiscono tenersene alla larga. Anche perché l’interpretazione corrente, mediata dal pensiero di Heidegger, va per l’appunto nella direzione del nichilismo. Ma questo non è il vero Hölderlin e non è, di sicuro, l’Hölderlin di papa Bergoglio, che al contrario riconosce nei versi del poeta quella condizione di confine tra rischio e salvezza alla quale mi riferivo prima». E il contrario del nulla che cos’è?«La speranza, di cui i popoli della Terra oggi hanno più che mai bisogno. I primi mesi del pontificato di Francesco hanno dimostrato in modo inequivocabile che senza il cristianesimo masse intere di persone sarebbero preda di un inferno tutt’altro che metaforico. Personalmente sono rimasto molto colpito dall’apertura di credito verso i musulmani, salutati dal Papa come “fratelli” nella fede verso l’unico Dio. Un passo decisivo per il riconoscimento di una fratellanza ancora più vasta, universale, che comprende tutti gli uomini e tutte le donne del pianeta».Anche questo fa parte da sempre della tradizione cristiana.«Certo, ma c’è una novità di accento che va registrata. Prendiamo il rispetto dovuto al Creato, per citare un tema che mi sta molto a cuore: per troppo tempo i cristiani sono stati restii a chiamare “madre” la Terra, come se in questo permanesse un retaggio pagano. Ma va considerata anche la declinazione del tutto anticonvenzionale di ciò che attiene all’economia e alla sua crisi. Sono argomenti sui quali papa Bergoglio ha pronunciato da subito parole chiare e condivisibili da tutti, credenti e non credenti».
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