venerdì 8 luglio 2022
Il restauro appena ultimato del capolavoro di Issenheim è durato quattro anni e ha coinvolto esperti francesi, tedeschi e italiani. Dai colori rinnovati il polittico erompe come un vortice
L’altare di Issenheim restaurato

L’altare di Issenheim restaurato - Anne Chauvet

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Esplorare un mondo sacro di volti, scene, simboli e colori, prendendosi cura di un monumentale capolavoro assoluto dell’arte gotica cinquecentesca. Ad ascoltare le voci commosse dei protagonisti dell’impresa, proprio un viaggio pieno di scoperte emozionanti è stato il lungo restauro dell’altare di Issenheim, insieme pittorico-scultoreo che si deve al genio di Matthias Grünewald, per i celebri dipinti su legno di tiglio, e di Nicolas de Haguenau, per i gruppi scultorei. Sul piano figurativo, un fitto dialogo fra scene del Vangelo e della vita di sant’Antonio abate. Fra il 1512 e il 1516, i due artisti lavorarono per circa quattro anni su commessa di Guido Guersi, l’abate antoniano d’origine siciliana del monastero alsaziano d’Issenheim, non lontano da Colmar, dedito all’accoglienza dei malati del “fuoco di sant’Antonio”, malattia in seguito ricondotta all’ingestione di un fungo parassita della segale e di altre graminacee. Il risultato fu un’opera la cui fama, lungo i secoli, finì per superare le frontiere dell’area culturale del Reno superiore, oggi divisa fra l’Alsazia francese, la Svizzera settentrionale e la porzione occidentale del Baden- Württemberg. Fra il 2018 e il 2022, è durato circa quattro anni anche il restauro appena ultimato, il più importante e completo di sempre nella storia dell’opera. Frutto di una riflessione cominciata nel 1987, ha richiesto due importanti squadre di restauratori francesi, tedeschi e italiani, supportati da un lavoro scientifico d’indagine e di riflessione deontologica per molti aspetti senza precedenti in Francia. «Una grande avventura umana »: questa l’espressione più spesso ripetuta dai protagonisti del restauro, in occasione della presentazione ufficiale, presso il Museo Unterlinden di Colmar, che dall’Ottocento custodisce l’altare di Issenheim, all’interno della cappella dell’ex convento domenicano.

Le sculture di Nicolas de Haguenau prima e dopo il restauro

Le sculture di Nicolas de Haguenau prima e dopo il restauro - Anne Chauvet

Per i restauratori, accanto all’emozione di un contatto tanto ravvicinato e prolungato con una simile meraviglia, il viaggio è divenuto una successione continua di scoperte: sull’eccezionale stato di conservazione degli strati pittorici e delle strutture lignee d’origine, liberati dagli strati di colore successivi, soprattutto nel caso del cielo tenebroso nella tavola della Crocifissione; sulla varietà cromatica di dipinti e sculture; su certe audaci soluzioni sperimentate da Grünewald, come i riflessi di luce che emanano dal mantello immacolato di Maria ai piedi della Croce, fino a rischiarare persino una parte della cornice lignea dipinta. «Al di là della bellezza intrinseca ritrovata dall’opera, della sua conservazione, i visitatori avranno coscienza della coerenza fra i pannelli dipinti e le sculture», ha sottolineato Pantxika De Paepe, direttrice del Museo Unterlinden, evocando la parte dell’insieme storicamente meno celebrata: le sculture di Nicolas de Haguenau, le quali rappresentavano nondimeno un elemento centrale della “macchina d’altare”. Infatti, proprio ai piedi della statua lignea di sant’Antonio abate, affiancata da quelle di due altri Padri della Chiesa, sant’Agostino e san Girolamo, venivano condotti i malati accolti nel monastero di Issenheim. «Queste statue hanno come ritrovato la loro umanità», ha aggiunto la direttrice e nota studiosa. La parte bassa dell’insieme scultoreo è invece costituita dalla rappresentazione di Cristo circondato dagli apostoli. A livello “scenografico”, grazie a un dispositivo di pannelli lignei girevoli e richiudibili, a sua volta capolavoro d’ebanisteria, i dieci celebri dipinti di Grünewald possono essere immaginati, nella configurazione d’origine oggi smontata (ma visualizzata dagli apparati museografici), come finestre mobili attorno al cuore scultoreo. Tre le diverse configurazioni, scelte di volta in volta dal monastero anche in funzione del calendario liturgico. Nella configurazione chiusa, l’altare mostra ai fedeli soprattutto il dipinto centrale (su due pannelli apribili) della Crocifissione, di rara potenza drammatica, anche per via delle ferite da flagellazione che maculano il corpo di Cristo, oltre che per le tenebre che avvolgono il cielo e lo strazio che trafigge i volti della Vergine e di Maria Maddalena.

Dettaglio della “Crocifissione” prima e dopo il restauro

Dettaglio della “Crocifissione” prima e dopo il restauro - Anne Chauvet

Ai lati del dipinto centrale, due rappresentazioni di san Sebastiano e sant’Antonio abate. Sotto la Crocifissione, invece, una predella con la Deposizione. Una volta ribaltato quest’assetto, nella configurazione “di prima apertura”, i fedeli si ritrovavano invece davanti a ben quattro grandi tavole giustapposte, oggi esposte separatamente: l’Annunciazione, il Concerto degli Angeli, la Vergine con il Bambino, la Resurrezione. In basso al centro, invece, il gruppo scultoreo di Gesù con gli apostoli. Questa configurazione veniva scelta, ad esempio, per le celebrazioni mariane. Dopo la “seconda apertura”, invece, appariva al centro la totalità dei gruppi scolpiti, affiancati da due dipinti: la Visita di sant’Antonio a san Paolo eremita, così come Le Tentazioni di sant’Antonio. Era questa la configurazione che permetteva soprattutto ai malati di venerare il santo. Se l’eccezionale restauro sulle sculture rende giustizia alla ricchezza espressiva e cromatica di questa parte del capolavoro, le prodigiose creazioni di Grünewald continueranno nondimeno verosimilmente ad eclissare ancora quelle del collega, come già nei secoli passati. Tanto più dopo il restauro, infatti, il polittico erompe come un vortice figurativo capace di provocare un senso di vertigine in qualsiasi spettatore: per l’armonia delle soluzioni figurative, come nel tema della Resurrezione, ma anche per l’audacia di tanti accostamenti cromatici, la sconvolgente drammaticità delle scene, il fitto intreccio di personaggi e motivi simbolici, la cura nei dettagli talora appena riemersi sotto gli occhi dei restauratori, come per certe ciocche di biondi capelli sulla schiena di Maria Maddalena. L’altare di Issenheim continuerà di certo ad attirare fedeli e cultori del bello d’ogni contrada, restando pure un toccante simbolo d’unità nel cuore dell’Europa, essendo il frutto di un binomio d’artisti provenienti dalle due opposte sponde del Reno. Solo uno dei tanti aspetti messi ancor più in risalto dopo il memorabile restauro appena completato.

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