venerdì 30 luglio 2021
Blocchi mentali, ansia, paura di perdere ma soprattutto di vincere. La psicologa: ecco perché accade, e perché in queste Olimpiadi soprattutto
Simone Biles, 24 anni, fuoriclasse americana della ginnastica

Simone Biles, 24 anni, fuoriclasse americana della ginnastica - Reuters

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I demoni in testa, le mani che tremano, il bisogno estremo di dire basta. Hanno paura di perdere, ma soprattutto di vincere: è l’anello debole dei cinque cerchi, quello che ci mostra una generazione di campioni insospettabilmente friabili. Da Simone Biles, la farfalla americana della ginnastica che scopre di avere ali pesantissime, al nostro Federico Burdisso che nuota 200 metri di bronzo prima di confessare che aveva il cervello così pieno di dubbi da non volerla nemmeno fare quella gara.
Simone Biles ha 24 anni, nella sua disciplina è la più grande di sempre, decine di medaglie al collo, il simbolo della perfezione tecnica. Arriva a Tokyo e non si riconosce più: "Non posso gareggiare, ho un blocco mentale, non ce la faccio, mi ritiro...". La fama c'entra poco, succede anche a chi ha iniziato a vincere adesso. Come Federico Burdisso, appunto: ha 19 anni, queste solo le sue prime Olimpiadi, non è una questione d’età e neppure di abitudine ai grandi palcoscenici. Clamoroso il caso di Naomi Osaka, la nippo-americana che lascia la racchetta già al terzo turno confessando di non essere in grado di reggere: non le avversarie, ma la pressione psicologica su di sé. Non è la sola, purtroppo. Tokyo 2021 restituisce dopo quasi ogni gara atleti stravolti nell’anima: apparentemente piangono di gioia o di delusione, ma in molti casi è l’ansia che lacrima.
Sono Giochi diversi, certo. Arrivano dopo una stagione infinita di privazioni per tutti, e per loro in particolare. Perché quando vivi per quattro anni pensando a un giorno solo e quel giorno te lo tolgono per un virus, e poi te lo restituiscono all’ultimo e con un anno di ritardo, è difficile accettare, prepararsi, restare lucidi. Ne sa qualcosa Benedetta Pilato, 16 anni, promessa annunciata di questi Giochi per il nuoto azzurro: è arrivata a Tokyo con un record del mondo nel costume, doveva asciugare la piscina, è affogata in una squalifica assurda: “Ho nuotato in maniera orribile – ha detto prima di riprendere l’aereo in anticipo sulle previsioni - mi sentivo stanchissima, di certo la pressione mediatica non mi ha fatto bene…”.
Ma non è solo questo, probabilmente c’è altro, la fatica di quest’epoca oscura, la fragilità di una generazione alla quale si chiede sempre il massimo e sempre di più. Per questo serve un totem, per questo un fuoriclasse navigato come Novak Djokovic può diventare l’oracolo a cui aggrapparsi. I bene informati assicurano di aver visto il numero uno del tennis mondiale intrattenersi nei giorni scorsi al Villaggio Olimpico con i giocatori delle nazionali turche di pallavolo. A loro avrebbe spiegato i metodi del suo approccio mentale alle partite. “Sul campo, ma anche fuori, ho imparato a sviluppare un
meccanismo per fare i conti con tutte le aspettative, tutti i mormorii e il rumore, in modo che non mi distraggano, non mi consumino - ha raccontato -. Sento di avere abbastanza esperienza per sapere come entrare in campo e giocare il mio tennis migliore. Di certo se punti a certi traguardi devi crescere mentalmente: allora la pressione diventa un privilegio, non un handicap”.
Ma i blocchi mentali sono sempre in agguato. Gli anglofoni li chiamano "twisties", parola che dallo slang della ginnastica si traduce con blackout, tanto breve quanto spaventoso, che in un salto carpiato mette a repentaglio no solo la prova ma anche caviglie e osso del collo. "Nella ginnastica o nei tuffi possono portare a errori fatali, non c'è tempo per rimediare - spiega Monica Vaillant, ex campionessa e allenatrice di pallanuoto, ora psicologa -. Gli atleti di punta chiedono ai mental coach delle strategie per affrontare queste ansie, generate spesso dalla paura di non essere all’altezza, ma anche di esserlo troppo".
A quel punto occorre una pausa: "L'atleta – continua la psicologa - deve essere consapevole delle proprie ansie ed esternarle, anche in pubblico: sono momenti di verità, va umanizzata la figura del campione, altrimenti si creano mostri di perfezione che non esistono".
Lo scenario si complica se poi arriva la mannaia dei giudizi sui social: "Oggi pesano, e molto, gli strumenti ossessivi usati in rete - dice l'ex pallanuotista, due ori mondiali e tre europei con il Setterosa negli anni '90 -. E il fattore età: da giovani l'incoscienza può aiutare a bruciare le tappe, ma non appena ci si accorge del "mostro" interno mancano gli strumenti per gestire la paura del fallimento, con cui prima o poi ci si scontra. Ricordo gli sguardi di paura delle nostre giocatrici più giovani nella nazionale a Londra 2012, sopraffatte dalla pressione".
Tutto questo vale ancor di più per un'Olimpiade stranente come questa. "Il Covid e lo slittamento hanno stravolto la preparazione, nella "bolla" olimpica non sono ammessi i familiari e altre persone di fiducia che in genere aiutano a gestire le emergenze. Anche i tamponi prima delle gare poi rappresentano uno stress notevole, con il rischio che comportano di far perdere tutto ancor prima di giocare”.
Qualcuno per fortuna guarisce, magari impiegandoci cinque anni. Chiedere per conferma a Irma Testa, 23 anni di Torre Annunziata, che domani diventerà la prima donna pugile medagliata della storia italiana. C’era già a Rio 2016, arrivò da debuttante ma con la presunzione di chi ha talento. Pensava di stupire tutti, ci restò male uscendo presto dai Giochi. Ora può confessarlo: “Quell’Olimpiade ha azzerato le mie certezze: ho trascorso mesi terribili, ho conosciuto il baratro della solitudine, della lontananza da casa per allenarmi e fare lo sport che volevo. Ho temuto che i sacrifici che facevo non mi avrebbero portata da nessuna parte. Basta poco e crolla tutto dentro un atleta. Invece mi sono guardata allo specchio, ho capito che quello che volevo raggiungere era troppo importante, mi sono tatuata la scritta “panta rei” sul braccio destro, e scrollata di dosso il terrore di non farcela, di non essere abbastanza". Ora Irma è una donna diversa, come i suoi Giochi. Senza paura.


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