lunedì 6 maggio 2013
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Finalmente un Giro d’Italia che ci fa dimenticare la noia itinerante dello scorso anno. Basta una salitella per accendere la corsa e scatenare una bagarre degna di una tappa alpina. Alla fine non succede niente ai fini della classifica; i migliori arrivano tutti insieme, eccetto Scarponi caduto nel finale, ma la terza tappa fa capire che non sarà una corsa scontata e chi la vuole vincere non potrà concedersi un solo attimo di distrazione. Questo Giro rischia di logorare la testa più delle gambe. A cominciare da Sir Wiggins che deve aver avuto un po’ di ansia quando in salita non ha più visto i soliti compagni di squadra intorno a sé ed è, poi, rimasto attardato in discesa, anche se per poco.Quello del percorso è un alibi dietro al quale ci si nasconde troppo spesso: la corsa la fanno i corridori e a Marina di Ascea lo hanno dimostrato. Chi sa di avere meno risorse di Wiggins non può permettersi di restare in panciolle fino alle tappe decisive (e favorevoli all’inglese), ma deve approfittare di ogni occasione offerta dal terreno per cercare di guadagnare qualche secondo o, almeno, metterlo sotto pressione. Così come ha fatto oggi Ryder Hesjedal, attaccando a 30 chilometri dal traguardo. Il vincitore del 2012 è in credito di emozioni: fino alla crono finale era stato solo un nome negli ordini d’arrivo, nessuno lo conosceva, si era limitato a palesare una grande regolarità. Ora vuole vincere un Giro vero, da protagonista, a costo di perderlo. È l’atteggiamento giusto e ha anche una grande condizione fisica a supportare la sua ambizione.Peccato che Nibali non abbia colto l’input e si sia limitato a muovere i suoi gregari anziché mettersi in gioco in prima persona. Alla fine ha fatto il gioco di Wiggins anche se bisogna riconoscere che si è mosso con l’autorità di chi ha in mano il pallino della corsa. Una grande prova di carattere.Così, nel bel mezzo dell’incendio acceso dai big Luca Paolini si arma di estintore e ne spegne gli ardori. Si lancia in discesa come un kamikaze e arriva solo soletto al traguardo dove con un semplice gesto sintetizza l’essenza della sua impresa: con una mano indica il cuore con l’altra la testa. Una lezione per tanti giovani offerta da uno dei più vecchi del gruppo. Paolini ha 36 anni, un’età in cui la maggior parte dei colleghi è già da tempo in pensione. Invece, lui ha ancora l’entusiasmo di un ragazzino e con questo va alla scoperta del Giro. Fino a quest’anno, infatti, non aveva mai preso parte alla corsa rosa, lui è un corridore da classiche, di quelli che si giocano la stagione tra marzo e aprile per, poi, andare in vacanza, almeno fino al Tour de France, da correre pensando al Mondiale. Quei Mondiali dei quali è un grande esperto: è sempre stato il “braccio armato” di Paolo Bettini, il gregario più fidato e affidabile. Un ruolo che svolge ancora adesso, una volta all’anno, anche se Bettini corre a bordo dell’ammiraglia azzurra: in corsa Paolini è l’occhio e il cervello del ct della Nazionale, per comunicare fra loro non occorre la radiolina, basta uno sguardo.Paolini corre per il team russo Katusha e alle recenti classiche del pavé è stato il migliore degli italiani. Un veterano di mille battaglie che ha ancora la capacità di commuoversi, come quando, dopo l’arrivo, ha dedicato la vittoria e la maglia rosa al padre sottoposto a un intervento chirurgico.Il Giro d’Italia ha cambiato tre maglie rosa in tre giorni, e nella quarta tappa, da Policastro Bussentino a Serra San Bruno, con molta probabilità cambierà ancora: il duro finale rischia di restare indigesto a Paolini, la strada si presta ancora agli attacchi e chi vuole mettere in difficoltà Wiggins non può lasciarsi scappare l’occasione.​
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