lunedì 15 giugno 2015
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La “Gola” è il vizio capitale che a ben vedere è il più connesso al resto dei vizi capitali. I peccati di gola sono legati a quel piacere che sfocia nella lussuria. All’invidia, perché si mangia per sofferenza, per dolore (quanta gioventù anoressica o adulti bulimici aggiungono un posto alla nostra tavola?). All’accidia, perché Homer Simpson beve e mangia cibi ripugnanti, standosene sul divano a veder la tv: i bambini obesi sono il frutto del “tandem famelico”, noia-cibo. Alla perfidia e all’ira, perché la cattiveria è di casa anche nel mangiare. La malavita produce e smaltisce cibo illegale, contraffatto, così si muore di ciò che si mangia più di ogni altra cosa. Nell’era dei masterchef (o “master ceffi”?) ci fanno consumare alimenti spacciati per eccellenze di genuinità e poi si scopre – senza che arrivino i Nas – che di genuino non hanno nulla. Alla superbia, perché il superbo si erge sugli altri anche attraverso l’abbondanza e l’eccesso della sua mensa. Il cibo come veicolo sociale: più sali la scala e più scali quella alimentare. Le aragoste rappresentano l’apice, la merce del discount la povera base. All’avarizia, in quanto il vero avaro, quello radicale, rischia di morire di stenti risparmiando addirittura sul cibo e, anzi, considera uno spreco mangiare in modo non controllato e parco. Spirito e vizio “divino”, nel senso dantesco. Nel VI canto della Divina commedia, nella terza cerchia dell’Inferno, i peccatori di gola sono costretti a ingoiare la fanghiglia generata da un’incessante pioggia fredda e nera. Mentre i golosi del Purgatorio sono ridotti a corpi scheletrici che soffrono le pene della fame e della sete, mentre camminano tra alberi sottosopra carichi di acqua e frutta. Un inferno, un viaggio al buio al termine della notte di Céline che odiava quelli che mangiavano, fumavano e bevevano troppo. La sua dieta, monacale era a base di acqua e caffè. Uno così, impossibile prenderlo per la gola.
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