sabato 9 settembre 2017
Diego Olivares porta sul grande schermo il dramma che si consuma fra Napoli e Caserta. Cosimo e Rosaria lottano contro la criminalità e il contesto sociale
Terra dei fuochi, in «Veleno» la storia (vera) di chi dice no
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I roghi tossici che si sviluppano tra le province di Napoli e Caserta sono oltre mille all’anno secondo i dati Utg della Prefettura di Napoli, in media si compiono 10 reati ambientali al giorno (3.728 accertati all’anno) mentre nel 2016 ben 310 persone sono state denunciate all’autorità giudiziaria. Nel frattempo, i malati di cancro nella zona sono in aumento: secondo gli ultimi dati del registro tumori della Asl Napoli 2 Nord negli anni 2010-2012 sull’intera popolazione della zona (1.052.000 abitanti), sono stati diagnosticati circa 14.000 nuovi casi di tumore maligno.

E una di queste tante, troppo sconosciute vittime della morsa delle ecomafie, si chiamava Arcangelo Pagano, era un contadino che produceva eccellenze agroalimentari nella sua terra assediata dalle discariche abusive, ed è morto per un carcinoma allo stomaco. La sua storia è diventata un film asciutto e commovente, Veleno per la regia di Diego Olivares, che ha chiuso la Settimana internazionale della Critica alla Mostra di Venezia, in sala dal 14 settembre. «Arcangelo era il marito della sorella di Gaetano di Vaio (produttore del film insieme a Gianluca Curti), che ha deciso di prendere spunto dalla sua storia per raccontare il dramma della Terra dei Fuochi dalla parte delle troppe vittime ignorate – spiega Olivares, sceneggiatore di lungo corso e ora regista –. La nostra non è un’inchiesta ma un film dal punto di vista umano, sul quale però abbiamo trovato inaspettate resistenze. Per questo quando lo presenteremo a Napoli forniremo tutti i dati scientifici sui reati e sull’incidenza dei tumori nella zona, per sfatare le tesi negazioniste».

Per farlo Olivares, con il supporto del gruppo di imprese sociali Gesco che coproduce il film, è andato a girare direttamente nelle zone contaminate del casertano, fra cui anche una vera discarica abusiva sequestrata, mostrando senza filtri roghi, sversamenti di veleni e mucchi di immondizia ai lati delle strade, fra cui alcune vicine alla stazione Tav di Afragola. «Non avevamo bisogno di creare scenografie, purtroppo c’erano già quelle vere che abbiamo filmato – aggiunge il regista sconsolato –. Il problema è che il veleno è anche il contagio nella mentalità della gente comune. Ma per fortuna vedo molti segni di riscossa, anche se la situazione non credo che cambierà».

C’è chi non ci sta e resiste, come Cosimo e Rosaria, (i commoventi e intensi Massimiliano Gallo e Luisa Ranieri), una coppia di contadini che si ama, aspetta il primo figlio, lavora sodo la terra lasciatagli dal padre. Ostinatamente si rifiutano di lasciare che i loro terreni diventino una discarica destinata ai rifiuti tossici, e nemmeno le minacce e le pesanti ritorsioni di alcuni camorristi, fra cui il giovane avvocato e aspirante politico Rino (Salvatore Esposito celebre per Gomorra) e l’insensibile zio padrone (un credibilissimo Nando Paone), li piegano.

Nemmeno il “tradimento” del fratello Ezio (e di sua moglie) che deciderà non solo di vendere la terra ai delinquenti, ma anche di trasportare e sversare abusivamente materiale tossico per loro in cambio di molto denaro. A piegare Cosimo ci penserà all’improvviso la malattia, un cancro allo stomaco causato dalla contaminazione dell’aria e dell’acqua. A sorreggerlo fedele, forte e innamorata la bellissima figura di Cosima, una donna di grande fede, che frequenta la Chiesa, prega e ripone in Dio tutte le sue speranze, anche se la morte del marito darà una scossa a tutte le sue certezze. «Il Padre Nostro che lei recita alla fine del film per me significa il desiderio di ricongiungersi a quello in cui crede», aggiunge la Ranieri.

La rivelazione di Venezia è Massimiliano Gallo (figlio del grande Nunzio Gallo), che al Lido consolida una carriera in ascesa come padre di vittima di camorra in Nato a Casal di Principedi Bruno Oliviero e come camorrista canterino in Gatta Cenerentola. «Purtroppo lo Stato qui è assente – aggiunge –, quindi ben vengano i film che illuminano questa realtà per farla conoscere. Il cinema deve avere una funzione sociale». E a proposito di sociale ieri sono stati assegnati i premi Migrarti del Mibact ai corti che raccontano l’immigrazione. A vincere come Miglior Film La recita di Guido Lombardi; e fra le Menzioni Speciali L’amore senza motivo di Paolo Mancinelli sulla storia di Majid, il ragazzino siriano portato in Italia dal Papa.

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