venerdì 27 gennaio 2017
A Ferrara, lì dove transitarono i deportati, sta nascendo il Giardino delle domande: è l’avamposto del Meis, museo che vuol rievocare la storia degli ebrei in Italia anche attraverso piante e aromi
Il progetto del futuro Museo italiano dell’ebraismo e della Shoah (Meis) a Ferrara, progettato dallo studio Scape

Il progetto del futuro Museo italiano dell’ebraismo e della Shoah (Meis) a Ferrara, progettato dallo studio Scape

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Intorno a quello che era il carcere sta nascendo un giardino. Piante e alberi che parlano di una storia cresciuta in mezzo a noi da oltre due millenni, ma ugualmente poco conosciuta. Alloro, mirto, timo, ma anche il melograno o la palma da datteri: stanno germogliando a Ferrara come una modalità del tutto inedita di incontro con l’ebraismo. Si chiama il Giardino delle domande ed è uno dei primi volti attraverso cui si presenterà al pubblico il Meis, il Museo italiano dell’ebraismo e della Shoah, museo nazionale voluto dallo Stato italiano per raccontare la storia degli ebrei nel nostro Paese. Iniziativa pubblica, nata con una legge approvata dal Parlamento nel 2003 proprio per sottolineare il valore per tutti di questa presenza. Ora finalmente quell’idea sta prendendo anche forma: il Giardino aprirà in primavera, appena le piante avranno avuto il tempo di crescere un po’. Ma la Giornata della memoria 2017 per il Meis è già un appuntamento importante. Perché questo grande cantiere - che intorno ai due edifici dell’ex carcere di via Piangipane vedrà sorgere entro il 2020 cinque strutture espositive più piccole, che nella forma richiameranno i libri della Torah - sta già cominciando a essere un luogo che parla. Anche a partire dal suo passato, come ci racconta la direttrice del Meis, Simonetta Della Seta. «Gli ebrei arrestati durante le deportazioni del 1943 passarono da qui - spiega -. Così in questi giorni abbiamo inaugurato un’installazione dedicata alla memoria della Shoah: racconta le storie di dieci ebrei ferraresi vittime della persecuzione nazista; sarà in allestimento per tutto febbraio nelle prime sale che abbiamo già a disposizione, per diventare poi parte del museo. Ricordiamoci che i 150 ebrei incarcerati a Ferrara e transitati dal campo di Fossoli, da lì vennero poi deportati ad Auschwitz. E ne tornarono solo 5. Ci è sembrato doveroso cominciare da lo- ro. Anche se il Meis nasce per raccontare molto di più sulla storia degli ebrei in Italia».

Com’è nata l’idea del Giardino delle domande?
«Tutto il museo - dal punto di vista dei contenuti - mira a stimolare le domande. Oltre a essere un metodo molto ebraico di procedere, è anche un modo umile per arrivare a una conoscenza più appropriata. Sulla storia degli ebrei in Italia - una storia che va avanti in maniera continuativa da 2200 anni - si conosce molto poco. Eppure fuori dalla Terra d’Israele non c’è un’esperienza di continuità e di vitalità della presenza ebraica come quella della nostra Penisola. Ed è una storia che ha permeato in maniera profonda la cultura italiana. Il Meis, dunque, nasce come un luogo per aiutare a capire che le minoranze sono parte di noi, parte della nostra cultura».

Che cosa troveranno i visitatori nel Giardino?
«L’abbiamo strutturato come una sorta di labirinto: attraverso i profumi e gli aromi di alcune piante vogliamo proporre percorsi di conoscenza. Per esempio: durante la preghiera dell’havdalah, alla fine dello shabbat, gli ebrei sono soliti odorare degli aromi per sentire la differenza tra il giorno di riposo che si conclude e il resto dei giorni. Attraverso questi odori nel giardino introdurremo al tema dei riti ebraici. Poi ci sono le sette specie bibliche: ulivo, fico, grano, orzo, melograno, vite, palma da dattero. Alcune le abbiamo già piantate, altre stiamo aspettando giornate un po’ meno fredde. Nel giardino si imparerà in modo molto semplice come mangiano gli ebrei e le regole fondamentali della kasherut. E si capirà anche che si tratta di una tradizione molto mediterranea, tra- smessa poi ad altre culture».

Quali altre iniziative ha in programma il Meis nei prossimi mesi?
«A marzo inaugureremo una mostra intitolata “Vivere insieme” che parla della vita comune di ebrei e non ebrei a Ferrara. Intorno al 14 settembre avremo qui l’appuntamento con la Festa del libro ebraico; poi, in autunno - nel grande blocco ristrutturato dell’ex carcere che ci verrà consegnato in estate - inaugureremo “Through the Eyes of the Italian Jews”, l’installazione multimediale che farà da apertura al museo definitivo. A dicembre, infine, avremo una grande mostra che parlerà delle origini dell’ebraismo in Italia. Il 2017, dunque, è un anno importante per noi; pur non avendo ancora tutti gli edifici a disposizione sarà un anno di debutto. Apriamo ai visitatori in un cantiere che non è solo fisico: per noi la cosa più importante è capire che cosa vogliono sapere sugli ebrei».

Quali sorprese può riservare la conoscenza della storia degli ebrei in Italia?
«Alcuni filoni dell’esperienza ebraica oggi sono estremamente attuali. Gli ebrei hanno vissuto per tante ragioni un’esistenza contrassegnata da identità plurime. E questa è un po’ la cifra del mondo di oggi: la gente si muove, lavora e studia in altri Paesi, affezionandosi anche al nuovo contesto. L’identità multipla oggi è considerata una ricchezza e l’esperienza degli ebrei può rivelarsi preziosa. Ma gli ebrei hanno anche dovuto imparare a convivere nell’incertezza, altra condizione che un po’ tutti oggi sperimentiamo. Siccome questa loro esperienza è un patrimonio del nostro Paese è tempo di cominciare a conoscerla più a fondo».

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