giovedì 9 maggio 2013
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In volata Mark Cavendish perde raramente e se succede è perché prima ha perso la testa. L’inglese è il velocista più forte dell’ultimo decennio (almeno) ma non è invincibile, anche lui ha il suo tallone d’Achille: un carattere bizzoso che ogni tanto gli fa perdere il controllo delle sue azioni e della corsa. Un carattere simpatico e gioviale quando vince che diventa burrascoso quando viene sconfitto. Cavendish trionfa anche a Margherita di Savoia, in Puglia, e batte Elia Viviani, come a Napoli. Solo che questa volta l’azzurro non ha nulla da recriminare, così come non ce l’hanno tutti gli altri velocisti che nel rettilineo finale si contendono la ruota di “Cannonball” a colpi di spalla e gomito. È il primo vero confronto fra gli sprinter in questo Giro e il verdetto è indiscutibile. Ma il gesto più bello Cavendish lo compie sul podio quando alza le braccia mostrando il numero 108 per ricordare Wouter Weylandt, il corridore morto a soli 26 anni sulle strade del Giro, in questo stesso giorno due anni fa.È stata la tappa di Weylandt, perché i corridori non dimenticano, così come non dimenticano gli organizzatori che il 108 - il numero indossato dal corridore belga - lo hanno tolto dalla numerazione ufficiale. I corridori sono solidali, non hanno bisogno del terzo tempo, a loro bastano le tante ore trascorse quotidianamente a pedalare insieme Sono abituati a condividere sudore e sofferenza, sempre pronti a tendere una borraccia o ad aiutare chi è in difficoltà, come dopo la grande ammucchiata a una trentina di chilometri dal traguardo. Il gruppo si spezza in due a causa della caduta e i corridori in testa rallentano per aspettare chi insegue. E dietro è rimasto anche Bradley Wiggins, ma non si può vincere una corsa con una imboscata.La corsa può rallentare quando mancano ancora un bel po’ di chilometri all’arrivo, non può più farlo quando lo striscione è dietro l’angolo, quando il gruppo è già lanciato a oltre 50 all’ora per la volata. Una lezione che ha rapidamente imparato lo stesso Wiggins che, dopo aver pagato 17” nel finale della quarta tappa, per evitare altri rischi pedala in testa al gruppo fino a tre chilometri dal traguardo, perché a quel punto viene neutralizzato il tempo.Resta un grande interrogativo sulle tante, troppe cadute in corsa. È vero, ce ne erano anche prima ma, negli ultimi anni, il numero è diventato preoccupante. È possibile che i professionisti non sappiano più andare in bici? Certo che no. Il problema è altrove, è nell’esasperazione della meccanica tesa a guadagnare qualche grammo sul peso del mezzo e due punti di velocità. Il problema è nelle bici troppo rigide, difficili da guidare nelle curve in discesa, nei cerchi in carbonio che non rispondono immediatamente ai freni, come sull’acciaio, nelle gomme gonfiate eccessivamente. Lo richiede l’agonismo e, soprattutto, il mercato sempre alla ricerca di novità. Quindi, è impensabile che qualcuno decida di fare un passo indietro. Domani il Giro si trasferisce in Abruzzo. Da Marina di San Salvo a Pescara sono quasi 180 chilometri di saliscendi cattivi, che resteranno nelle gambe di molti. È il terreno giusto per chi vuole provare a mettere in difficoltà Wiggins o mettere fieno in cascina in vista della cronometro di sabato. Ma molti outsider saranno frenati da un dubbio: ha senso sprecare tante energie per guadagnare, se va bene, un minuto, con il rischio di ritrovarsi le gambe appesantite nella crono e perdere tanto di più? La risposta appare scontata: a cronometro Wiggins scaverà, comunque, un solco dietro di sé.​
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