venerdì 31 luglio 2020
Un saggio riscopre i versi calcistici, sorprendenti e anticonformisti, del poeta di Luino: storia di una grande passione, culminata nel tifo febbrile per la “Beneamata”
Il poeta e scrittore Vittorio Sereni (1913-1983) lungo la Darsena milanese

Il poeta e scrittore Vittorio Sereni (1913-1983) lungo la Darsena milanese - Effigie

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«Il verde è sommerso in nerazzurri. / Ma le zebre venute di Piemonte sormontano riscosse a un hallalì / squillato dietro le barriere di folla… / Giro di meriggio canoro, / ti spezza un trillo estremo. / A porte chiuse sei silenzio d’echi / nella pioggia che tutto cancella / ». Sono i versi di Vittorio Sereni, un “poeta del gol” che tiene corda al “doppio passo” di Pier Paolo Pasolini nell’accezione, all’epoca assai rara, di intellettuale e calciofilo, di scrittore in prosa e amante dello sport, tutto. Sì perché Sereni verga questi versi della Domenica sportiva (datata 1935, ma forse stesa definitivamente nel gennaio del ‘36 dopo la vittoria in Coppa Italia dell’Inter sulla Juventus) in un tempo in cui chi si occupava di letteratura e di “cultura alta” non praticava assolutamente, e mai in maniera palese, il pensiero debole del popolo degli stadi. Un poeta da Nobel come Eugenio Montale ad esempio, pare che consultasse quasi quotidianamente la Gazzetta dello Sport, salvo poi celarla ad arte sotto i faldoni dei suoi preziosi tomi, dove solo l’occhio attento e privilegiato del visitatore, poteva scorgere l’ombra di quei rosati fogli proibiti, finiti in clamoroso fuori gioco. Sereni no, si abbevera dalla Rosea, si nutre del rumore popolare che affiora «dietro le barriere di folla» degli stadi e scorge anche quel gusto romantico della passione per il calcio che ammalia e «fiorisce fazzoletti di colore sui petti delle donne», recita un altro verso della Domenica sportiva.

«Insolita presenza questa femminile per una partita di calcio, s’intende, ma perfettamente inquadrata nel clima da Palio medioevale (dove le squadre si sostituiscono alle contrade) che Sereni intende qui evocare», annota a margine Alberto Brambilla, altrettanto raro studioso del rapporto “calcio e poesia” che ha curato il lucentissimo Il verde è sommerso in nerazzurri. Vittorio Sereni e lo sport: scritti 1943–1987 (Nomos Edizioni, pagine 128. Euro 19,00). Oltre mezzo secolo di elucubrazioni di letteratura sportiva del poeta di Luino, la città che si affaccia sul Lago Maggiore e che ha dato i natali all’altro grande narratore (anche di sport, si legga Lo Zanzi, il Binda e altre storie su due ruote. Scritti sul ciclismo 1969– 1985 – Nomos, sempre a cura di Alberto Brambilla) Piero Chiara. La poesia del giovane Sereni – compone la Domenica sportivaa 23 anni, il suo esordio avviene nel 1941 con la raccolta Frontiera – è influenzata dalle Cinque poesie per il calcio di Umberto Saba. Il poeta e libraio triestino pubblica quei “testi calcistici” nella raccolta Parole, e nell’anno del primo trionfo Mondiale degli azzurri del tenente Vittorio Pozzo, il 1934, Giovanni Titta Rosa e Franco Ciampitti li inseriscono nella Prima antologia degli scrittori sportivi (edita da Carabba). Ma mentre per Saba «il calcio fu solo una parentesi e un pretesto poetico», come sottolinea Brambilla, per Sereni si trattò invece della storia di una grande passione, culminata nel tifo febbrile per la “Beneamata”. Poeticamente si tratta di un amore sbocciato proprio sulla scia dei Cinque componimenti di Saba, con il quale Sereni in una lettera del 2 gennaio 1949 tenta di «avviare un dialogo» anche calcistico. «Caro Saba, oggi la mia squadra, l’Inter gioca a Trieste, dove probabilmente le buscherà, e io trovo finalmente il momento per farmi vivo…». Saba non raccoglie l’assist del “poeta interista” e risponde dribblando su altri argomenti.

Sereni troverà la sua spalla ideale con il massimo “poeta del gol”, Pasolini, attratto quanto lui dall’atmosfera popolare delle gradinate e dalla battaglia sudata sui campi di pallone. «E io so come sia terso in questo ottobre il colle di San Luca sopra il mare di teste che copre il cerchio dello stadio». Pasolini a sua volta avrà come complice della sfrenata passione per il Bologna, l’altro “poeta civile” di Urbino, Paolo Volponi. Insieme salivano da Roma a Milano, destinazione San Siro, per la sfida contro l’Inter di Sereni. «Intanto ti avverto Vittorio che domenica il mio cuore è a Milano insieme a quello grassoccio di Volponi: tutti e due a palpitare fino all’orlo della trombosi. E mi dispiace che la gioia nostra sarà la tua disfatta», scrive Pasolini in una missiva quasi dal tono “ultrà”, alla quale Sereni ribatteva da par suo dalla curva nerazzurra: «Ieri ho visto al 90°, sul cielo di San Siro, effondersi il tuo ghigno e il serafico sorriso di quel Volpone di Volponi». Era il tempo in cui Pasolini si divertiva a coinvolgere l’”Onorevole” Bulgarelli come punta di diamante dei Comizi d’amore. Ma l’idolo e ispiratore delle sue partite contro formazioni di ragazzi di vita e poi come “Stukas”, il n. “11” della Nazionale degli attori, era da sempre Biavati, il geniale ideatore del gesto tecnico del doppio passo. Sereni invece cresce e diventa adulto sotto la stella luminosa di Giuseppe Meazza, che per lo scriba del gol Gianni Brera, era semplicemente il Folber, la massima essenza del calcio. «Meazza aveva questo di diverso dagli altri giocatori: non dava mai l’impressione dello sforzo, minimo era in lui lo scarto tra l’intenzione ed esecuzione; quando falliva non perdeva la linea, aveva una sua eleganza nel cadere, nel rinunciare a rincorrere la palla troppo lunga… Aveva in tutto questo qualcosa di disumano, certamente di olimpico». Sereni per omaggiare il suo amatissimo ex “Balilla” cambia passo, esce dal campo della poesia ed entra in quello della prosa. Brambilla, nel suo encomiabile lavoro certosino intorno alle fonti sereniane scova il 12° uomo: il tifoso–poeta che, tra il luglio del 1947 e il febbraio del ‘48, pubblica dodici scritti in prosa per l’Illustrazione ticinese.

Nella rivista di Lugano, Sereni che da poco si era trasferito a Milano («La città del calcio») narra le sue Cronache milanesi. Scortato dai fedelissimi Oreste Del Buono e Giansiro Ferrata, alias “Sansiro” frequenta lo stadio anche per le partite del Milan, rimanendo impressionato dalla vittoria dei rossoneri contro il Grande Torino di Valentino Mazzola (pochi mesi prima della tragedia aerea di Superga) al punto da chiosare elegiaco, per comunicare agli amici ticinesi che avevano disertato lo stadio: «Forse abbiamo assistito a una svolta della vita del calcio italiano. A uno dei quei fatti misteriosi, che in misteriosi modi sono in relazione con la nostra stessa vita e che forse segnano un trapasso ». Sereni va oltre la filologia di cuoio di Pasolini (nei calciatori vede «22 podemi » in campo, tanti quanti sono i fonemi, e le loro combinazioni formano le «parole calcistiche») e con piglio estetico enfatizza confrontandosi con lo storico dell’arte Alessandro Parronchi «che era dotato di bernoccolo calcistico». Il poeta di Luino, si concentra essenzialmente sull’epica del calcio e dello sport: per arrivare al prato verde di San Siro passa dal vecchio “Fighter” del ring sfrecciando a bordo di un bolide partecipante alle Mille Miglia fino ad affrontare il senso profondo della morte attraverso la tragica e precoce dipartita del “Campionissimo”, Fausto Coppi. Il Campione è per lui l’Eroe della domenica, ergo: il filo conduttore della storia dell’umanità. «Dai tempi dei giochi olimpici poche cose, come gli atleti colti nel momento delle loro imprese ci restituiscono incorrotta l’aria dell’antichità».

Sereni non teme gli strali dell’intelighentia del suo tempo che impietosamente squalificava a vita chi osava la discesa nei gironi infimi e popolari del pallone, e anzi rivendica con orgoglio la compartecipazione allo «spettacolo sbalorditito della folla compatta» e l’appartenenza, ammantandosi sotto la bandiera dell’Internazionale: «Io, nerazzurro da infiniti anni, lo sono diventato una volta per tutte». Il fantasma dell’opera sereniana è Il fantasma nerazzurro, testo celebrativo in cui come nell’ineditoPiede freddoemerge sempre il suo “divo”, Peppino Meazza. Quel Piede freddo, ricordo di quando il Mito– Meazza per un anno rimase fermo per il piede congelato (problemi di circolazione sanguigna), è un racconto sublime e non paragonabile a quello diretto avvenuto con il campione del ciclismo Alfredo Binda. Perché lo sport, tutto, ha affascinato Sereni ma è nel calcio che ha trovato la risposta artistica ed esistenziale a questo dilemma: «Come fa uno che scrive, che ha letto certi libri, un “intellettuale” ad appassionarsi, a prendere sul serio la partita della domenica e il campionato e i campioni del pallone?». Il calcio ha riempito tanti dei vuoti del cammino dell’uomo Sereni, ancor prima di quelli del poeta di Luino. Dall’alto dei gradoni di San Siro, ha sentito il cuore rimbalzare come un pallone dinanzi alla solitudine del portiere, e ha compreso che «una gara di calcio può dunque contenere un frammento di saggezza e forse un insegnamento per affrontare la nostra vita in modo meno distratto».

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