giovedì 31 agosto 2017
Girato ben prima degli accordi internazionali tra Roma e Tripoli per il controllo di chi fugge da guerre e povertà si è dimostrato capace di leggere in anticipo l'andamento delle vicende e provocare
Una scena del film «L'ordine delle cose» del regista Andrea Segre

Una scena del film «L'ordine delle cose» del regista Andrea Segre

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“Quando tre anni fa ho cominciato a lavorare al film non sapevo che le vicende tra Italia-Libia sarebbero andate proprio così ma certo le intuivo. Non sono preveggente ma ho avuto la possibilità di ascoltare chi per l’Italia ci stava preparando a questo”.

Se non fosse un film di fantasia, girato ben prima degli accordi internazionali per il controllo dei migranti che coinvolgono anche la Guardia Costiera libica, “L’ordine delle cose” del regista Andrea Segre, proiezione speciale oggi alla Mostra di Venezia, parrebbe un documentario, drammatico e provocatorio, che pone domande serie sui possibili scenari futuri, al cui riguardo però il regista non è ottimista.

Il film prodotto da Jolefilm con Rai Cinema, ha per protagonista uno straordinario Paolo Pierobon, nel ruolo di Corrado, un alto funzionario del ministero degli interni specializzato in missioni internazionali contro l’immigrazione irregolare. Il Governo italiano lo sceglie per affrontare i viaggi illegali dalla Libia verso l’Italia. Nel complesso scenario della Libia post-Gheddafi, l’uomo insieme ad alcuni colleghi fra cui Giuseppe Battiston, si muoverà fra ceffi poco raccomandabili, giochi di potere e centri di detenzione per migranti dalle condizioni disumane.

L’incontro con Swada, una donna somala che gli chiede aiuto per raggiungere il marito in Europa, minerà le sue certezze ponendolo in una profonda crisi di coscienza fra doveri istituzionali e umani. “Le sue incertezze sono quelle dell’Europa – spiega il regista – Il suo è un punto di vista borghese, come quello di tutti noi. Ma quando dai numeri, passa alle persone, la prospettiva cambia. Questo è un film che invita a chiederci qual è la nostra posizione. Se dobbiamo ora bloccare quel traffico, siamo in grado di garantire il rispetto dei diritti umani? Sappiamo cosa succede ai migranti che vengono bloccati oltre il Mediterraneo? E perché non ce ne siamo occupati prima, intercettando a monte i bisogni e le esigenze di chi deve migrare a causa delle guerre o, semplicemente, come succede ai nostri figli, per vivere e lavorare?”.

Interpretato da 300 comparse scelte fra i migranti che davvero hanno vissuto nei centri di detenzione libici, il film ha il patrocinio di Amnesty International, di Medici per i diritti umani, Naga onlus e Medici senza frontiere. Il film sarà nelle sale dal 7 settembre, dopo un’anteprima al Senato, presenti fra gli altri don Mosé Zerai.

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