giovedì 11 marzo 2021
La “non fiction” costituita dai polizieschi costruiti su reali vicende di cronaca si avvale di una tecnica letteraria su un impianto giornalistico. Un saggio di Faienza indaga temi e caratteristiche
Se il giallo prende vita dalla realtà

Chiostri

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Una delle modalità narrative più feconde degli ultimi anni nell’ambito del romanzo italiano è quella delle scritture 'spurie' e di confine. Alcune delle opere migliori, cioè, si proiettano al di fuori delle strettoie di genere, per aprirsi alla contaminazione con altre forme. Una di queste è senz’altro quella che, con termine inglese, si indica come 'non-fiction': libri come cronache, diari, reportage, che traggono ispirazione dalla realtà o dalla biografia dell’autore, per farsi, oltre che documento, vero e proprio romanzo. Alcune volte sono opere che si collocano ai confini tra letteratura e giornalismo, e hanno più del secondo che della prima. Altre volte accade invece il contrario. Rimangono da chiarire le ragioni di questa tendenza della nuova narrativa italiana.

Sarà perché sempre più spesso l’informazione giornalistica appare ingessata e incapace di un autentico approfondimento. Sarà perché la tv ormai trabocca di reality-show, che, in verità, sono la cosa più finta che si possa immaginare (sappiamo che le storie che certi programmi televisivi spacciano per vere sono soltanto dei copioni molto ben architettati). Fatto sta che la letteratura sembra aver avocato a sé un compito nuovo. E lo sta svolgendo, in molti casi, in modo egregio. Ma quali rapporti si sviluppano tra la non-fiction e la letteratura tradizionale, compresa quella di genere? Nel saggio Dal nero al vero (Mimesis, pagine 256, euro 22) Lucia Faienza indaga la presenza, come recita il sottotitolo, di 'figure e temi del poliziesco nella narrativa italiana di non-fiction'. Il campione dei testi presi in esame è vasto e vario. Si va da alcuni celebri romanzi di Leonardo Sciascia ( Todo modo, L’affaire Moro, La scomparsa di Majorana) ai gialli di Massimo Carlotto, dai libri di Antonio Franchini a quelli di Gianfranco Bettin, dalla produzione dell’immancabile Roberto Saviano al romanzo con cui Edoardo Albinati vinse il premio Strega nel 2016, La scuola cattolica.

Gli scrittori, che tradizionalmente pensiamo come inventori di storie, tesi a usare la fantasia e l’immaginazione quali principali strumenti del loro lavoro, oggi sembrano invece molte volte più propensi a trarre spunto o addirittura materia per i loro libri dai fatti di cronaca, dall’attualità, dai misteri insoluti della nostra storia recente. Sciascia (insieme a Pasolini: pensiamo agli Scritti corsari ma ancor di più all’incompiuto Petrolio) può essere considerato l’iniziatore di questa tendenza, che ha preso piede soprattutto negli anni Novanta del secolo scorso, sviluppandosi ed estendendosi fino ai giorni nostri: ed è su questo arco cronologico che si appunta la ricerca della Faienza.

La studiosa dimostra però che anche quegli scrittori che si dedicano alla nonfiction non possono fare a meno di mettere in atto strategie prettamente letterarie: dal punto di vista strutturale, stilistico, retorico, linguistico. «Ciò che emerge - scrive - è una tendenza 'bipolare' della non-fiction, nei confronti dei fatti e degli eventi reali oggetto di scrittura: da una parte la narrazione vuole riconfermare tenacemente la propria attendibilità e veridicità col ricorso a un ampio uso di riferimenti documentali (interviste, materiali d’archivio, scritture processuali, registrazione dei fatti in prima persona), dall’altra mostra la necessità di un realismo 'mediato' da strutture narrative riconoscibili e da messe in scena spettacolari, in cui siano chiari i ruoli degli attori protagonisti ». Dunque non opere che, per dirla con la celebre formula del verismo verghiano, appaiano «essersi fatte da sé», bensì storie che siano non solo credibili, ma anche raccontabili.

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