giovedì 13 agosto 2020
Colleghi e allievi rendono omaggio al grande gesuita spagnolo, morto nel ’98, con un libro: "L’analogia nuziale nella Scrittura. Saggi in onore di Luis Alonso Schökel"
Luis Alonso Schökel

Luis Alonso Schökel - Screenshot da Youtube Limud - Pontificia Universidad Comillas

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Il più grande lascito spirituale ma anche morale che il gesuita spagnolo Luis Alonso Schökel (1920-1998), definito dal cardinale Gianfranco Ravasi «uno dei massimi biblisti del Novecento», è sintetizzato forse in una sua massima che aveva il sapore della raccomandazione per i suoi studenti del Pontificio Istituto Biblico di Roma (Pib): «L’importante non è leggere la Bibbia, ma imparare a leggere».

E un libro pensato a cento anni dalla nascita di questo illustre esegeta, L’analogia nuziale nella Scrittura. Saggi in onore di Luis Alonso Schökel (Gregorian & Biblical Press, pagine 164, euro 23), rende omaggio al geniale figlio di sant’Ignazio che fu tra i padri nobili della traduzione, negli anni del post-Concilio, della Bibbia in spagnolo. A lui si devono dei bellissimi commenti – una vera “Summa theologiae” – sul libro di Giobbe così come sulla costituzione dogmatica del Vaticano II sulla Parola di Dio la Dei Verbum.

Il volume curato da Luca Pedroli, uno dei discepoli di Schökel, rappresenta un tributo al maestro della Sacra Scrittura alla luce di un saggio che rappresentò per il gesuita, originario di Madrid e morto a Salamanca a 78 anni il 10 luglio 1998, l’ultimo libro e per un certo verso il canto del cigno: I nomi dell’Amore. Simboli matrimoniali nella Bibbia (edito da Piemme nel 1998; l’originale spagnolo Simbolos matrimoniales en la Bibbia). Le pagine raccolgono i contributi dei maggiori esperti su questo delicato ambito, che vanno dal gesuita canadese e attuale rettore del Biblico di Roma Michael Francis Kolarcik a Gianantonio Borgonovo, oggi arciprete del Duomo a Milano, da Luis Sanchez Navarro a Ludger Schwienhorst-Schönberger, da Harold Attridge a Jean-Louis Ska (che firma la postfazione carica di aneddoti).

Un volume che ci permette di entrare nelle pieghe più interne sul senso della ricerca intellettuale di Schökel che aveva come missione quello di far comprendere l’importanza dello «studio letterario della Bibbia». Schökel non fu solo un esegeta di razza ma un uomo innamorato della Parola di Dio e assieme al monaco camaldolese Innocenzo Gargano (come ha testimoniato proprio su “Avvenire” in anni recenti) da autentico maestro della Lectio Divina riuscì a catturare l’attenzione – grazie al suo soffermarsi costantemente sulla Bibbia nel solco della tradizione giudaico-cristiana durante lunghi incontri e seminari – di un artista apparentemente “agnostico” e lontano dalla fede come Vittorio Gassman.

Il pregio di questa pubblicazione, che è anche il frutto di un convegno dedicato a Schökel nel 2017 a Roma, è quello di rendere soprattutto il giusto omaggio a un esegeta che rappresenta forse l’ultimo rappresentante di una generazione irripetibile di professori gesuiti che hanno reso il Biblico di Roma un’istituzione universale e riverita in tutto il mondo accademico: da Agostino Bea ad Alberto Vaccari, da Pietro Boccaccio a Carlo Maria Martini, da Ignace de la Potterie a Stanislas Lyonnet, da Maximilian Zerwick a Klemens Stock, da Maurice Gilbert ad Albert Vanhoye (classe 1923 e oggi il cardinale più anziano del mondo). Nel sottofondo, o per meglio dire nel retroterra di queste sapide pagine, si scopre soprattutto il rigore professorale e l’autoironia di Schökel, la sua passione per la musica (era un eccellente pianista) e per l’amato Dostoevskij; si scopre anche la genialità di un docente di Sacra Scrittura – è l’ammissione di Kolarcik – mai ripetitivo ma sempre «intuitivo e creativo».

Da questo volume affiora proprio, come sottolinea Luis Sánchez Navarro, l’attenzione o ancor meglio la «rilevanza» di Schökel per una «cristologia sponsale» presente nei Vangeli Sinottici (Luca, Matteo e Marco): basti pensare alla figura di Gesù alle nozze di Cana. Ma forse anche qualcosa di più. A giudizio di Luca Pedroli la sua «comprensione della Scrittura» nel solco di concetti e categorie di pensiero a lui care come «metafora sponsale» e «analogia nuziale» sono state i suoi personali contributi per spiegare in fondo «il rapporto tra Dio e il suo popolo» nell’Antico e nel Nuovo Testamento.

A cento anni dalla nascita, è forse giusto rievocare Schökel con le stesse parole che amava ripetere ai suoi allievi, come testimonia nel suo toccante ricordo il gesuita belga Jean-Louis Ska. Parole che hanno il sapore di un testamento spirituale e non solo per gli amanti della Scrittura: «Il testo biblico è come uno spartito di musica. Lo spartito non è musica, però. Occorre suonare o cantare, occorre interpretare lo spartito. Occorre anche interpretare il testo biblico, altrimenti rimane lettera morta».




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