sabato 7 settembre 2019
Autismo ed essere padri nel film “Tutto il mio folle amore” presentato dal regista: «Un sedicenne si trascina dietro i tre adulti più importanti della sua vita e li costringe a guardarsi dentro»
Una scena di “Tutto il mio folle amore” di Gabriele Salvatores (sotto), con Valeria Golino, fuori concorso a Venezia / Ansa

Una scena di “Tutto il mio folle amore” di Gabriele Salvatores (sotto), con Valeria Golino, fuori concorso a Venezia / Ansa

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Gabriele Salvatores torna sulla strada per raccontare un viaggio fatto di fughe e inseguimenti, un romanzo di formazione che costringerà i protagonisti a fare i conti con se stessi, con i sentimenti che non sono riusciti a esprimere, con l’amore che hanno ancora da offrire. Scritto da Umberto Contarello e Sara Mosetti, interpretato dall’esordiente Giulio Pranno, Claudio Santamaria, Valeria Golino, Diego Abatantuono, tratto dal libro autobiografico Se ti abbraccio non aver pauradi Fulvio Ervas, Tutto il mio folle amore, ieri fuori competizione alla Mostra del Cinema di Venezia e in uscita nelle nostre sale il 24 ottobre, è la storia di Vincent ( Vincent come la celebre canzone di Don McLean), sedici anni, immerso in un mondo tutto suo fatto di silenzi, ossessioni e comportamenti rabbiosi. La madre Elena si sente spesso impotente verso quell’ostinato ragazzo che la respinge, mentre il suo compagno Mario sa invece come prenderlo. Una sera Willi, un cantante da balera, il “Domenico Modugno” della Dalmazia, padre naturale di Vincent, trova il coraggio di andare a conoscere quel figlio che non ha mai visto e scopre che non è esattamente come se lo immaginava. È strano, pensa, ma in fondo neanche lui, a ben guardare, è così normale ed è per questo che quando Vincent, colpito da quell’uomo, lo segue di nascosto nascondendosi nella sua macchina, decide di portarselo dietro per qualche giorno, lungo le strade deserte dei Balcani.

E mentre Elena e Mario si mettono alla ricerca del figlio scomparso, Willi e Vincent cominceranno a conoscersi veramente, a scoprirsi, amarsi e dirsi quello che finora non aveva mai trovato le parole adatte. «Come il Pifferaio Magico o un “fool” shakespeariano – dice Salvatores – un ragazzo di 16 anni si trascina dietro i tre adulti più importanti della sua vita e li costringe a fare i conti con se stessi. Scopriranno che è possibile riuscire ad amare anche chi è diverso da noi, a patto di non aver paura di questa diversità». Non un film sull’autismo dunque (questa parola non è mai pronunciata nel film che dichiara di non avere alcuna pretesa scientifica), ma «l’educazione sentimentale di un padre e un figlio che diventano uomini insieme», come sottolinea Santamaria, raccontata con grazia e semplicità, dolcezza e onestà, senza timore delle emozioni che suscita. «La voglia di realizzare un altro road movie – spiega il regista – nasce dal bisogno di stare lì dove la vita scorre. E poi c’è la voglia di provare a sentirmi un po’ più giovane.

I Balcani hanno in comune con la città di Napoli, dove sono nato, una malinconia e una visione fatalista della vita. Shakespeare nelle sue tragedie e nelle sue commedie ha preso spesso i suoi personaggi e li ha spostati in un luogo diverso da quelli al quale erano abituati perché non è importante la meta, ma il viaggio. Durante il viaggio si è più indifesi, vulnerabili e aperti. Non so se tornerò a fare film così, fare la valigia mi mette ansia, sono decisamente più a mio agio sul set dove ho l’impressione di poter controllare tutto. Si possono fare anche viaggi interiori, meno faticosi ma non meno impegnativi». A proposito del giovane Pranno, che interpreta Vincent, vitale e disperato, curioso e fragile, il regista rivela: «Non aveva mai recitato prima e devo ringraziare Francesco Vedovati, il mio casting director, che ha avuto l’idea di fare provini ai ragazzi bocciati al Centro Sperimentale. Tra questi c’era Giulio che aveva già deciso di mollare tutto. Questo dimostra che la tecnica serve relativamente, un attore deve avere un gran cuore e capacità di rischiare, essere sempre sincero».

«È stato interessante sperimentare una grande libertà espressiva – ha aggiunto Santamaria – abbandonarci, come in un vero viaggio, alla sorpresa di quello che accadeva intorno a noi, ma soprattutto dentro di noi. Durante il viaggio Willi imparerà a essere padre ricucendo l’antica ferita che lo ha fatto fuggire molti anni prima». E Pranno: «Sono stato due giorni a casa di Andrea Antonello, il vero protagonista di questa storia, e ho trascorso con lui molto tempo anche sul set. Mi ha aperto gli occhi sul mio personaggio, mi ha fatto capire che non dovevo essere una sua copia, ma restituire la sua essenza, il suo carisma, il suo brio e la sua vitalità». «I personaggi del film – spiega poi Contarello – finiscono per diventare tutti come Vincent, sbandati e liberi, giovani e con il cuore aperto. E vorrei sottolineare quanto delicato sia il personaggio della madre interpretata da Valeria Golino, che vive un vero e proprio senso di colpa per aver messo al mondo un figlio sbagliato ». E la Golino: «Era importante restituire i veri sentimenti di una madre che con il figlio vive un rapporto conflittuale fatto d’amore, ma anche disagio, e sgradevolezza. Padre e figlio si rieducheranno a vicenda, migliorando insieme. Ai tempi di Rain Man si parlava poco di autismo, oggi la consapevolezza è maggiore ed esistono meno pregiudizi».

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