giovedì 2 marzo 2017
La regista ha debuttato a Milano con “Bestie di scena”: provocazione visiva per raccontare la fragilità dell’attore e dell’umanità Grande bravura degli attori-atleti, ma più estetica che sostanza.
La regista Emma Dante al Piccolo Teatro Strehler per "Bestie di scena"

La regista Emma Dante al Piccolo Teatro Strehler per "Bestie di scena"

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Questo è l’anno della “scimmia nuda”. Dopo il trionfo di Francesco Gabbani al Festival di Sanremo con la metafora canterina sull’uomo-animale studiato dall’antropologo Desmond Morris, ecco le Bestie di scena di Emma Dante. Quattordici attori nudi, 7 uomini e 7 donne, per un’ora e dieci si agitano, corrono, litigano, ballano e si muovono, appun- to, come scimmie sull’immenso palco vuoto del Piccolo Teatro Strehler in un ritorno allo stadio primordiale dell’umanità. Annunciato ad arte come lo spettacolo più estremo della Dante, qui autrice e regista, (capace sia di provocazioni blasfeme come ne La scimmia sia di allestimenti magnifici e potenti come l’ultimo Macbeth di Verdi per il Massimo di Palermo) in realtà nulla ha di banalmente voyeristico o provocatorio nei contenuti. Un’operazione furba? Il direttore del Teatro Sergio Escobar, che ha arruolato per la prima volta la regista investendo molto su questa nuova produzione del Piccolo che andrà anche a Aixen- Provence, nega, ma ha opportunamente deciso di consigliare lo spettacolo (che non ha alcun divieto) ai maggiori di 16 anni per la presenza dei nudi integrali. Una nudità che in realtà, diventa un “linguaggio” teatrale esso stesso, mettendo attori e spettatori di fronte al disagio dello sguardo. Lo spunto di partenza della regista è interessante, ispirato all’affresco di Masaccio La cacciata dall’Eden, con Adano ed Eva nudi e piangenti che tentano di coprirsi le vergogne. Una metafora del mestiere dell’attore, che ogni sera si mette a nudo su una scena che ben presto diventa essa stessa metafora del nostro mondo, inquietante e irto di pericoli, in cui si muove un’umanità fragile e impaurita e bisognosa di solidarietà. «Volevo raccontare il lavoro dell’attore, la sua fatica, la sua necessità, il suo abbandono totale fino alla perdita della vergogna e alla fine – ha spiegato la regista – mi sono ritrovata di fronte a una piccola comunità di esseri primitivi, spaesati, fragili, un gruppo di “imbecilli” che, come gesto estremo, consegnano agli spettatori i loro vestiti sudati, rinunciando a tutto». Fin qui i proclami, ma dargli corpo e, soprattutto, anima, è un’altra cosa. Appena si entra in sala allo Strehler, mezz’ora prima dello spettacolo, ci si trova davanti gli attori vestiti impegnati in un riscaldamento atletico intensivo che funge da escamotage per giustificare il fatto che, accaldati, si debbano togliere i vestiti. Senz’abiti, l’insieme di carni diventa pittorico, quasi da Giudizio universale del Signorelli. È vero, sono corpi che non ispirano eros ma pietas, timorosi, fragili, esposti. Ma la voluta assenza di una drammaturgia rende confuse le azioni a seguire. Tantoché lo spettacolo diventa un saggio di eccezionale bravura mimica e ginnica dei muti attori-danzatori, ma non riesce a scendere alla profondità richiesta. Dalle quinte arrivano petardi che spaventano, bambole di plastica che parlano, secchiate d’acqua che inondano, spade che portano conflitti. Secondo le intenzioni dovrebbero rappresentare innamoramenti, guerre, violenza sulle donne. Ma il tutto è slegato, affannato, e non risulta di lettura immediata. E l’impressione finale è che ci sia più compiacimento estetico che sostanza in uno spettacolo dal sapore autoreferenziale. Peccato, perché alcuni momenti sfiorano la poesia, quando gli uomini si sostengono fra loro sulla zattera della vita o girano senza senso ripetendo tutte le azioni viste in un carillon finale dove “casca il mondo, casca la terra e tutti giù per terra”. Perché «quando la vita si distrae, cadono gli uomini». A già, ma questo è Occidentali’s Karma, capace di portare con semplicità la scimmia nuda anche in hit parade.

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