mercoledì 23 dicembre 2015
COMMENTA E CONDIVIDI
«Rappresentano «la bellezza che ancora non c’è»: sono le periferie, secondo Renzo Piano. Come lo scultore vede nel blocco di pietra la statua che vi caverà, così il senatore a vita vede luoghi di possibile rinascita nei lembi di città usualmente associati all’idea di abbandono. L’idea cui ha dato vita si chiama “G124”: la sigla dell’ufficio assegnatogli in Senato, che ha trasformato in bottega di progettazione, con carte, grafici e disegni alle pareti e, nel mezzo, un grande tavolo rotondo di grezzo compensato. Se le periferie «sono sempre state abbinate ad aggettivi denigranti – spiega –renderli luoghi felici e fecondi è il disegno che ho in mente. Questa è la sfida dei prossimi decenni: diventeranno o no parte della città?». Lo scopo è “ricucire” il tessuto urbano sfilacciato ai margini: un grande progetto composto da micro interventi non solo di carattere architettonico. Si tratta, insiste Piano, di «innescare la rigenerazione anche attraverso mestieri nuovi, microimprese, start-up, cantieri leggeri e diffusi, creando così nuova occupazione». L’opera è partita nel 2014 ed è intesa a ripetersi per una decina di anni, ogni volta con gruppi diversi e in luoghi diversi: giovani architetti, pagati con lo stipendio da senatore di Piano e coordinati da professionisti esperti, studiano il quartiere ed elaborano proposte insieme coi residenti. Il primo anno tre gruppi hanno lavorato in alcune zone periferiche di Torino, Roma e Catania. Nel 2015 altri giovani e altri esperti si sono dedicati al quartiere del Giambellino a Milano, dove in diversi isolati si allineano edifici di tipo popolare di 3 piani dagli intonaci immancabilmente scrostati e dall’aria desolata. Costruiti nel periodo prebellico, sono esemplari di un certo tipo di gestione della cosa pubblica: spazi verdi non valorizzati e decine di appartamenti vuoti perché la loro superficie è inferiore ai 28 metri quadrati, il minimo perché in Lombardia un alloggio sia classificato “abitabile”. «Una situazione paradossale – spiega Ottavio di Blasi, che ha coordinato il team insieme con Marco Ermentini – fondata su una regola anacronistica. Vi sono tanti giovani, divorziati, immigrati che potrebbero vivervi benissimo. Per giunta i muri sono in mattoni pieni, spessi e solidi. Basta poco per renderli efficienti sul piano energetico». I progetti elaborati dal team di R “architetti condotti”, come amano chiamarsi, prevedono sistemi di ristrutturazione a costi minimi. Ma l’attenzione è focalizzata in primis sugli spazi pubblici, e si fonda sul coinvolgimento della gente. «Come è già stato fatto a Torino, Roma e Catania, anzitutto ci siamo messi in ascolto: dei bisogni e delle proposte di chi abita il quartiere – riferisce Di Blasi – qualcosa che non insegnano nei corsi di laurea, ma che è fondamentale. L’architetto è chiamato a compiere un servizio per le persone, non a presentarsi come artista che configura spazi secondo il suo estro». E così ovunque sono intervenuti, i gruppi del G124 hanno dialogato, annusato l’atmosfera, osservato lacerti urbani che a un’occhiata distratta sembrerebbero da rottamare. E invece sono ricchi di potenzialità: perché non sono bloccati nell’inamovibilità delle zone monumentali da conservare come reliquia del passato. Come sostiene Franco Lorenzoni, maestro elementare che a Roma amava portare i suoi allievi borgatari a visitare i pregi artistici del centro storico: ai ragazzini di periferia l’idea di vivere nel centro pareva un incubo, perché, come disse uno di loro: «Ci sono palazzi vecchi e brutti, con strade strette in cui non c’è spazio per giocare». Mentre in borgata si può correre nei prati incolti e lungo le rive del Tevere, dove tra orti e discariche abusive c’è un mondo tutto da scoprire, immaginare e costruire. Sta qui la ricchezza della periferia: nella sua dinamicità, nella sua disponibilità al cambiamento. E anche gli adulti che la abitano, stimolati dal ragazzi del G124 presto scoprono il gusto di appropriarsi spazi che non sono musei da esibire a turisti distratti in vena di selfie. È proprio questo il processo che l’iniziativa lanciata da Piano ha messo in moto. Ovunque si sono individuati luoghi ove tracciare nuovi percorsi ciclopedonali e spiazzi atti a far crescere piante e amicizie. A Roma nel Municipio III, quello che fu costruito decenni fa come viadotto per trasporti urbani ma fu subito abbandonato, è stato rivisitato dal gruppo coordinato da Massimo Alvisi come nuovo viale dove passare a piedi o in bicicletta – la nuova regina dei trasporti urbani sostenibili e a "misura d’uomo" – e come copertura sotto cui sono disposti container ripitturati, risistemati, riadattati per giochi, esposizioni, incontri. E nuove pavimentazioni di materiali riciclati hanno aperto nuove pubbliche piazze. A Torino il gruppo coordinato da Maurizio Milan ha rivitalizzato il quartiere di Borgata Vittoria «con piccole strutture in legno, oggetti di recupero, tessuti, per pannelli informativi che disegnano un percorso con luoghi di ritrovo», un’opera che ha visto tra i protagonisti don Angelo Zucchi, parroco e direttore del locale plesso scolastico, eletto a elemento baricentrico dell’intervento. A Catania nel quartiere Librino, che doveva esser una “new Town” ma è rimasto privo di servizi e di un concetto di spazi pubblici, il gruppo coordinato da Mario Cucinella a lavorato con alcuni appassionati del luogo per «insegnare l’arte dello sport, della lealtà, dell’amicizia» e ritrovare luoghi dove passare e altri luoghi dove restare: orti, porticati, frutteti, aree per barbecue all’aperto, spazi verdi... Come dice Renzo Piano: «Si tratta solo di scintille, che però stimolano l’orgoglio di chi ci vive. Perché, come scriveva Italo Calvino “ci sono framnenti di città felici che continuamente prendono forma e svaniscono, nascoste nelle città infelici”. Questi frammenti vanno scovati e valorizzati. Ci vuole l’amore, fosse pure sotto forma di rabbia. Ci vuole l’identità, ci vuole l’orgoglio della periferia».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: