giovedì 5 gennaio 2017
Sino al 15 gennaio al Petit Palais una grande esposizione racconta la vita e le opere del grande scrittore irlandese con documenti eccezionali: inediti, fotografie, dipinti, autografi e caricature
COMMENTA E CONDIVIDI

Una sorta di risarcimento della Francia a Oscar Wilde, che a Parigi morì nel 1900, oggi sepolto nel cimitero monumentale di Père Lachaise, per non aver festeggiato il suo centenario nel 2000 mentre la rivale Londra gli dedicava ben due esposizioni. Così al Petit Palais hanno deciso di recuperare proponendo, fino al 15 gennaio, la prima grande mostra dedicata a al celebre scrittore irlandese, nato a Dublino nel 1854: Oscar Wilde - L’impertinent absolu. Una mostra spettacolare, che propone più di 200 pezzi eccezionali fra rare edizioni, manoscritti autografi, fotografie, disegni, caricature e dipinti. Un percorso chiaro e godibile, punteggiato dai sagaci aforismi che resero celebre lo scrittore. E che ripercorre tutta la carriera, la parabola umana e le contraddizioni del grande autore, sottolineandone anche i molteplici e fecondi legami con rappresentanti della scena parigina di fine Ottocento. Nei suoi numerosi soggiorni a parigini, fra il 1883 e il 1894 infatti, Wilde divenne amico di diversi scrittori, quali André Gide, Pierre Louys, Victor Hugo, Stéphane Mallarmé, nonché di Toulouse Lautrec, che immortalò la sua silouhette fra il pubblico di un tabarin in un grande pannello conservato alla Galérie d’Orsay.


E basti pensare che venne scritta direttamente in francese la sua “scandalosa” e profonda opera teatrale Salomé, destinata alla mitica Sarah Bernhardt, illustrata dalle rivoluzionarie e inquietanti, incisioni di Aubrey Beardsley (in mostra ben 17 originali) che illustrano la malsana passione di Erodiade per il Battista. Ed è proprio dalla fascinazione di Oscar Wilde per il teatro che prende il via l’esposizione, che ci accoglie con uno splendido grande ritratto dell’attrice Ellen Terry, immortalata da John Singer Sargent nei panni di Lady Macbeth.


È la pittura a testimoniare, il percorso di formazione di Wilde fra Dublino, Oxford e Londra, dedicato alle lettere classiche, fortemente influenzato da celebri professori di storia dell’arte quali Walter Pater e John Ruskin e rafforzato da un viaggio in Grecia e in Italia. Sui soggetti mitologici e della storia antica, quindi, si muovono i primi passi di Wilde critico d’arte: una spettacolare e coloratissima sezione è dedicata proprio alle opere da lui recensite per l’inaugurazione della Grosvenor Gallery nel 1877, dedicata alla pittura preraffaellita, che vede affiancati Elettra alla tomba di Agamennone di William Blake Richmond, Amore e morte di George Fredric Watts, Notte e sonno di Evelyn Pichkering.


Nel frattempo nasce il personaggio dell’esteta Oscar Wilde, che, calze di seta, coulotte corta e pelliccia, per necessità finanziare parte alla conquista dell’America. Nel 1882 la sua serie di conferenze sul bello e le arti decorative lo rendono così popolare che la sua immagine, a sua insaputa, venne usata spesso per fare pubblicità ai più disparati prodotti.


È di questo periodo la serie di splendidi bianchi e neri che lo hanno trasformato in icona. A New York Wilde posa per il fotografo Napoleon Sarony che realizza 20 ritratti esposti in mostra, fra cui ben 13 scatti originali conservati alla Biblioteca del Congresso di Washington.


Una autentica chicca, come le delicate foto di Costance Lloyd, che sposò nel 1884, e dei due figli Cyril e Vyvjan. Per Wilde, rientrato in Europa, sono arrivati gli anni creativi. Fra il 1890 e il 1895 produce un’infilata di capolavori, ed è emozionante trovare nella stessa sala il manoscritto, con alcuni passaggi poi censurati, de Il ritratto di Dorian Gray conservato alla Morgan Library di New York, e quello della sua puntuta commedia L’importanza di chiamarsi Ernesto. Nell’ultima sala, la rovina, cui lo trascina la relazione omosessuale con Alfred Douglas, figlio del marchese di Queensberry: il processo vede Wilde condannato per sodomia a due anni di lavori forzati. Un dolore che nel grande artista generano pentimento e un avvicinamento al cattolicesimo. Qui testimoniati dai manoscritti del De profundis e della Ballata del carcere di Reading. E restano le commoventi righe in cui Wilde confida all’amico Andrè Gide che cosa gli ha impedito di uccidersi in carcere: «Guardare gli altri, vedere che erano infelici tanto quanto me e avere pietà. Una cosa ammirevole, perché la pietà non la conoscevo».


© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI