venerdì 25 febbraio 2022
Al Mudec gli scatti realizzati dal grande fotografo a Pechino e Shanghai dall’avvento del comunismo alla celebrazione del Grande balzo in avanti
Henri Cartier Bresson, "Alla fine della giornata, la gente in coda spera ancora di poter acquistare oro". Shanghai, 23 dicembre 1948

Henri Cartier Bresson, "Alla fine della giornata, la gente in coda spera ancora di poter acquistare oro". Shanghai, 23 dicembre 1948 - Fondation Henri Cartier-Bresson / Magnum Photos

COMMENTA E CONDIVIDI

Il 25 novembre 1948 la rivista “Life” commissiona a Henri Cartier-Bresson un reportage sugli “ultimi giorni di Pechino”. Il Kuomintang, il Partito Nazionalista Cinese che nel 1911 aveva rovesciato la dinastia Qing e imposto la repubblica in Cina, aveva le ore contate ormai messo all’angolo dall’esercito popolare di liberazione di Mao, in marcia sull’antica capitale del Celeste Impero. Il soggiorno cinese doveva essere di due settimane. Sarebbe durato dieci mesi.

Il Mudec propone una mostra antologica di oltre un centinaio di stampe originali (vintage o d’epoca) dei reportage realizzati da Cartier-Bresson nel 1948 e nel 1949 tra Pechino e soprattutto Shanghai, e quindi di quello realizzato nel 1958 quando torna in Cina per i dieci anni della rivoluzione. Attraverso gli scatti sempre impeccabili si possono così registrare le trasformazioni del paese e leggere le radici del gigante contemporaneo.

Osservano i curatori Michel Frizot e Ying-Lung Su che il lungo soggiorno di Cartier- Bresson in Cina ha segnato una svolta nella storia del fotogiornalismo: l’agenzia Magnum Photos era stata fondata (con la partecipazione dello stesso Cartier- Bresson) un anno e mezzo prima a New York, e il reportage cinese proponeva un nuovo stile, meno legato agli avvenimenti, più poetico e distaccato, attento tanto ai soggetti ritratti quanto all’equilibrio formale della composizione. Ci si può domandare se la fine della guerra avesse suggerito inconsciamente il desiderio di una differente narrazione.

La sequenza delle immagini suggerisce però prima di tutto un cambio nello sguardo di Cartier-Bresson sulla Cina. Le immagini di Pechino hanno un sapore aneddotico, intriso del fascino dell’esotico: vecchi eunuchi, taverne, uomini che si esercitano nelle arti marziali, la città vecchia, spose e funerali. Una Cina, allo sguardo occidentale, senza tempo. Qua e là fa però capolino il presente. Come nella fotografia del corteo nuziale tradizionale che incrocia la colonna dell’esercito governativo in ritirata. I costumi e i gesti antichi in primo piano, le divise e gli strumenti della guerra moderna in secondo. I nastri della storia si muovono in senso opposto sovrapponendosi ma senza incrociarsi.

Quando poche settimane dopo si sposta a Shanghai cambia tutto. Va l’aura esotica, la figurina caratteristica. La trama del presente emerge in primo piano. Mutilati per strada, bambini povei in fila per un pranzo oppure sorridenti mentre guardano uno spettacolo sovvenzionato da una organizzazione benefica, mendicanti che sbranano balle di cotone. Il panico della svalutazione della moneta scatena la corsa all’oro: sono tra le immagini più memorabili di Cartier-Bresson. Tanto la vecchia Pechino era rarefatta fino al vuoto, Shanghai, epicentro commerciale con l’Occidente, è densa fino alla saturazione. Una città di 5 milioni di abitanti lontana dal fronte comunista ma messa sotto assedio dall’arrivo di profughi della guerra. L’immagine più tragica anche in virtù di un assoluto distacco è quella del corpo di un avvolto in una pezza di stoffa, con accanto il cadavere di un gatto.

Cartier-Bresson fotografa anche l’esodo dei notabili da Nanchino (divenuta capitale della repubblica nel 1926) e i soldati del Kuomintang sospesi in un limbo, l’arrivo dell’esercito popolare di liberazione. È l’aprile 1949 (la Repubblica Popolare Cinese sarebbe stata proclamata il 1° ottobre 1949). Torna a Shanghai, ormai comunista, ma la censura non gli consente di fotografare tutto quello che vuole. I porti e le fabbriche sono off limits e così fotografa i piccoli mercati di strada, dove ormai compare il ritratto standard di Mao. A luglio la metropoli è teatro delle celebrazioni del nuovo regime. Il fotografo documenta le parate organizzate ma partire dalla fine del mese volendo ottenere un visto per l’Indonesia deve sottoporre alla censura tutte le immagini scattate a Shanghai.

Henri Cartier Bresson, 'Parata celebrativa del nono anniversario della Repubblica Popolare Cinese Pechino', 1° ottobre 1958

Henri Cartier Bresson, "Parata celebrativa del nono anniversario della Repubblica Popolare Cinese Pechino", 1° ottobre 1958 - Fondation Henri Cartier-Bresson / Magnum Photos

Quando torna dieci anni dopo Henri Cartier- Bresson documenta una Cina irriconoscibile. La qualità delle immagini è ovviamente altissima, anzi si nota una cura persino maggiore nella composizione, forse favorita dal fatto che si trova davanti a messe in scena e coreografie. In queste fotografie non c’è il linguaggio della propaganda, ma il contenuto sì. Cartier- Bresson, che come molti artisti e intellettuali aveva simpatie comuniste, è accompagnato-scortato per quattro mesi in tutto il paese da una guida-interprete. Miniere, pozzi petroliferi, scuole tecniche, fabbriche e villaggi rurali, gli studenti che costruiscono da volontari una piscina universitaria senza l’ausilio di macchine. Sfruttamento del lavoro, come suggeriscono i pannelli in mostra, o eroismo? Di certo si vede una società cinese coventrizzata (e non era ancora il tempo della rivoluzione culturale). Un elemento ritorna, rispetto alle foto del decennio precedente: le scene di massa. Ma come quelle di Shanghai erano scompiglio e confusione, qui ogni immagine è sinonimo di ordine.

Milano, Mudec Photo
Henri Cartier-Bresson
Cina 1948-49 | 1958
Fino al 3 luglio

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: