venerdì 29 ottobre 2021
Al WeGil di Roma fino al 9 gennaio la retrospettiva - dalla Belle Epoque al cinema - del grande fotografo francese che anticipò Henri Cartier-Bresson nella ricerca del "momento decisivo"

È stato il poeta della lievità, il cronista della Belle Epoque, il testimone di quell'illusione che nel primo 900 fece credere che progresso tecnologico, arte e borghesia illuminata potessero garantire al mondo (o almeno a una sua porzione) una stagione dorata. Un'illusione presto spazzata dalla durezza del secolo delle due guerre mondiali. Ma Jacques Heny Lartigue avrebbe continuato comunque a cercare di congelare sulla pellicola, per conservarli, attimi di leggerezza e di surreale felicità.

Fino al 9 gennaio 2022 il WeGil di Roma, hub culturale della Regione Lazio a Trastevere, ospita L’invenzione della felicità. Fotografie, la mostra dedicata al fotografo francese, già accolta con grande successo a Venezia e Milano. L’esposizione raccoglie 120 immagini, di cui 55 inedite, tutte provenienti dagli album fotografici personali di Lartigue.

Nato a Parigi nel 1894 in una ricca famiglia borghese, a sette anni Jacques Henry riceve in regalo dal padre una macchina fotografica, complessa e ingombrante come le fotocamere dell'epoca, di legno e con negativi singoli in vetro da 13 per 18 centimetri. Nonostante la scarsa maneggevolezza dell'oggetto, l'enfant prodige fotografa ciò che lo circonda, rivelando un talento raro, tra doppie esposizioni del fratello per creare fantasmi e balzi giocosi dei familiari congelati in volo. Il giovane fotografo proverà presto una insanabile attrazione per la velocità, le automobili e gli aeroplani, meravigliosi simboli del progresso.

Sua l'immagine iconica Gran Prix de l'A.C.F. , con l'automobile che sfreccia fuori dal fotogramma con le ruote che sembrano ovalizzate dalla potenza, come nei quadri futuristi di quegli stessi anni. Solo un effetto, in realtà, dell'otturatore a tendina a scorrimento orizzontale. Assieme alle immagini di donne eleganti e di mondanità, costanti saranno nei suoi scatti le istantanee di corpi sollevati, leggeri, che galleggiano in aria. Arriva serenamente a 68 anni, pittore di discreto successo, senza avere mai intrapreso una vera carriera di fotografo professionista.

Ma quando a New York il direttore della sezione fotografia del Moma, John Szarkowski, vede le sue foto, organizza subito una mostra: «Mi sembrava di vedere l'opera giovanile, non ancora scoperta, del padre di Henri Cartier-Bresson», dirà Szarkowski, con un lusinghiero paragone col padre nobile della fotografia moderna. L'interesse suscitato dall'esposizione, replicata in altre 16 città, spinge il prestigioso rotocalco Life a dedicare un ampio servizio al «cronista della Belle Epoque». Altro colpo di fortuna, quello sarà il numero dell'assassinio del presidente Kennedy, quindi in tiratura milionaria.

La fama è arrivata. Riviste di moda e set cinematografici commissionano servizi al nuovo fenomeno della fotografia, scoperto in età avanzata. Lartigue continuerà «a fissare sulla pellicola solo ciò che vuole ricordare, conservare. Fermare il tempo, salvare l'attimo dal suo inevitabile passaggio», come scrive nel catalogo Denis Curti, uno dei curatori. Una costante ricerca della felicità, di un idillio che, fissato almeno sulla carta in bianco e nero al nitrato d'argento, non può essere turbata dai traumi della vita. Immagini che di sicuro hanno allungato quella di Lartigue, scomparso a 92 anni nel 1986. Solo un anno dopo aver interpretato, in Ginger e Fred di Federico Fellini, una parte che non poteva che essere sua: quella del Frate volante.


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