venerdì 6 maggio 2022
Una mostra a Capodimonte rilegge la grande stagione dell'arte partenopea uscendo dal cliché caravaggesco per riconoscerne le molte facce e individuare in Ribera e Fanzago le vere figura di riferimento
Michele Desubleo, "Ulisse e Nausicaa", post 1654

Michele Desubleo, "Ulisse e Nausicaa", post 1654

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Non fu solo il naturalismo di Caravaggio a segnare l’arte del Seicento napoletano. Sino a oggi, sulla scia degli studi longhiani, si è interpretata la cultura artistica partenopea del XVII secolo e oltre partendo dalla lezione caravaggesca e dal suo luminoso passaggio a Napoli: passaggio che mise in crisi quel tardo manierismo a cui sembrava informata la pittura locale, quella di Battistello Caracciolo, per esempio, o di Belisario Corenzio o di Francesco Curia. Ma una lettura maggiormente connessa con la storia della città, informata fin dal medioevo da ampie confluenze culturali, apre spazi a nuove, interessanti riflessioni.

Come in altri luoghi del Mediterraneo, e forse più che altrove, l’arte a Napoli è stata sedimento di molteplici stili e diversi apporti ispirativi che hanno trovato nelle committenze e nella cultura religiosa e popolare una sorta di filtro e di spontaneo amalgama, connessi con le tradizioni e la fede. Sicché una corretta analisi del Seicento partenopeo, e in parte del Settecento, non può compiersi se non all’interno di questa prospettiva di lettura, che pone al centro la complessità e la multiformità delle influenze, anche in relazione alla provenienza degli artisti e ai loro locali, contingenti adattamenti.

È con questa premessa che il Museo di Capodimonte propone una esposizione di oltre duecento opere, derivanti tutte dalle collezioni in permanenza del museo, a cura di Stefano Causa e Patrizia Piscitello. La mostra, che di fatto costituisce una sorta di riallestimento delle collezioni, si disloca nelle ventiquattro sale del secondo piano.

Sul versante metodologico essa pone in luce in particolare, come si è accennato, i luoghi di origine degli artisti operanti a Napoli, delineando così una sorta di mappa diffusa della cultura artistica partenopea. Nel Seicento gli artisti provenivano non solo da altre regioni italiane, ma anche dalla Francia, dalla Spagna, dalle Fiandre. Sicché, accanto al caravaggismo, troviamo le sensibilità di Lanfranco e Domenichino, di Reni e di Vouet, di Fanzago, Gentileschi e François Duquesnoy, e soprattutto di Jusepe de Ribera, stabilitosi a Napoli nel 1616, sei anni dopo la morte del grande Merisi. Fu lui soprattutto a imporsi nel primo barocco come figura unificante e per certi versi emblematica dell’arte partenopea. E se sostituissimo dunque, scrivono i curatori, riguardo alla fisionomia dell’arte napoletana del XVII secolo, al nome di Caravaggio quello di Ribera e semmai di Fanzago?

Di fatto, Ribera fece scuola a Napoli con il suo naturalismo severo e rigoroso, cui si contrappose a secolo inoltrato, nel segno di una nuova libera espansione immaginativa e stilistica, Luca Giordano, il più barocco dei pittori partenopei.Notevole lo studio che si accompagna alla esposizione, condotto per temi e per artisti, con un singolare modo di procedere, prima a raggiera e poi in modo concentrico, di certa efficacia.

Napoli, Museo di Capodimonte
Oltre Caravaggio
Un nuovo racconto della pittura a Napoli
Fino al 7 gennaio

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