domenica 29 novembre 2020
A colloquio con padre Francesco Guglietta, fondatore della Fraternità monastica di san Bonifacio a Valledacqua
Padre Francesco Guglietta

Padre Francesco Guglietta - -

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inviato ad Acquasanta Terme «Isanti ti scelgono, ti fanno sentire la loro amicizia, con fatti concreti, coincidenze che ti cambiano la vita... e questo è certamente il Volto di Dio che si mostra. Ce ne siamo accorti con Carlo Acutis che qualche anno fa è praticamente entrato a far parte della nostra comunità e spesso ci sentiamo guidati dalla sua presenza ». Quando si parla di santi e del Volto di Dio la serena accoglienza di padre Francesco Guglietta si trasforma in loquace entusiasmo. È il fondatore della Fraternità monastica di San Bonifacio che dal 2017 abita la piccola Abbazia di San Benedetto in Valledacqua (X sec.) sulle montagne dell’Ascolano segnate dal sisma che ha raso al suolo il centro storico di Amatrice. «E se il beato Acutis è ormai nostro compagno di strada – prosegue padre Francesco – con Teresa d’Avila è successo qualcosa di simile: lei per trovare una casa in cui far nascere una nuova comunità la disegnava su un foglietto secondo le necessità e lo poneva sotto la statua di san Giuseppe. Quando l’abbiamo saputo abbiamo seguito il suo esempio. Dopo qualche tempo ci è stato riferito che le suore Camaldolesi lasciavano il monastero di Valledacqua. E ora che ci abitiamo ci stiamo rendendo conto che non solo assomiglia al disegno che avevamo fatto, ma ha proprio le caratteristiche dei nostri desiderata». A Valledecqua vivono in due: padre Francesco e fratel Daniel D’Acunto, giovane studioso di iconografia. La comunità conta anche un sacerdote anziano, che per esigenze personali si è ritirato in una casa privata nella vicina Acquasanta Terme, e una giovane coppia di sposi, poiché è prevista anche l’adesione di famiglie. La Regola della fraternità si ispira ai Padri del deserto. Guglietta, ordinato sacerdote nel 1993 nella diocesi di Gaeta, dopo un’esperienza nella casa fiorentina della Fraternità monastica di Gerusalemme, l’ha scritta nel 2006 durante un ritiro nel romitaggio del Getsemani. Ha cominciato a viverla da solo nella parrocchia affidatagli in diocesi, dove nel 2010 prende vita il primo esperimento di vita comune al quale presto si affianca il desiderio (esaudito da santa Teresa) di una struttura adatta alla vita e alla preghiera monastica. Oggi, se il visitatore giunge a Valledacqua in uno degli orari liturgici ed entra in chiesa fra canti, letture e un sapiente uso della gestualità orientale, viene avvolto da un’atmosfera di pace e spiritualità che riesce poi difficile dover abbandonare. Ma soprattutto viene attratto dall’icona del Volto di Cristo al quale i monaci rivolgono la loro preghiera.

Perché il Volto di Gesù?

Francesco: nella vita scopri che sei una persona vera se ti rivolgi verso qualcuno, verso un oltre da te... in quel momento inizia il tuo cammino di autenticità. Questa ricerca per me ha trovato un primo approdo nel volto di Gesù. La preghiera è questo rivolgersi verso... Poi ho scoperto che Gesù ti introduce a una pienezza, che tu puoi vivere in questo tempo solo frammentata.

Frammentata?

Francesco: Un po’ come nella Trasfigurazione. Quando l’apparizione finisce, i tre discepoli sul Tabor vedono Gesù da solo, ma dopo capiscono che è lui la strada per quella pienezza che avevano sperimentato. Ecco, la fede cristiana rimanda a una pienezza che tu puoi gustare, anche nei sacramenti, nell’Eucarestia, ma che solo nel compimento ultimo si realizza pienamente. È il massimo possibile per me in questo tempo. Ma sentirsi incamminati versò ciò che sarà è fondamentale se vuoi vivere una vita piena. Ce ne siamo accorti con la pandemia e più in generale in questo momento storico: se non hai la prospettiva su un “oltre” di pienezza, che ti dà solidità adesso, ti senti smarrito. In questo senso le esperienze religiose sono autentiche solo se aprono al desiderio della pienezza che sarà e non appiattiscono tutto nella pratica quotidiana. In realtà ogni forma di ricerca umana dovrebbe essere così.

Anche quella scientifica?

Francesco: Certamente. Se non parte dal presupposto che ogni conoscenza è comunque provvisoria e rimanda a uno sviluppo che non può capire adesso, fa un’operazione viziata da falsità. È così che nasce l’integralismo in ogni campo e il positivismo può essere una forma di integralismo. Anche l’idea, in molte persone, che la religione sia un ostacolo alla pace nel mondo è in se stessa un integralismo. La fede vera guarda all’oltre e l’esperienza monastica ha il compito di mostrare la distanza che c’è fra ogni esperienza religiosa e la pienezza che è in Dio. La verità (anche quella relativa a me stesso) è comunque al di là di ciò che adesso posso sperimentare.

Tutto è relativo?

Francesco: Sì. Anche le affermazioni dogmatiche hanno una loro relatività perché legate al nostro tempo, alla nostra esperienza. Tommaso d’Aquino voleva bruciare tutta la sua opera teologica quando durante una celebrazione a Napoli fece l’esperienza mistica di Gesù crocifisso, il volto di Dio. La realtà è sempre più di quello che io posso sperimentare di essa... ma non posso fare diversamente. San Tommaso dice che solo nella pienezza capirò cosa significhino verità e vita, ma la via è adesso: «Io sono la porta», dice il Signore Gesù.

Pregare davanti al volto di Gesù significa quindi essere sulla strada?

Francesco: L’uomo creato a sua immagine ritrova nel Cristo la pienezza di quello che è e desidera. Allo stesso tempo Gesù è colui che si fa incontrare da me: nella vita sacramentale, negli altri, nella storia. Ma a causa del peccato l’umanità che io incontro è falsata, non pienamente compiuta ed è solo nell’umanità di Cristo che io percepisco la vera somiglianza. Guardando lui possiamo avvicinarci, accogliere l’umanità incompleta e insieme cercare l’umanità che a noi manca. L’amore di relazione che scaturisce da quel volto ci si mostra come una strada desiderabile nella babele che ci circonda ed è ciò che più ci avvicina alla pienezza che saremo.

Ma dove si incontra il Volto da cui tutto ha inizio?

Daniel: Io l’ho incontrato in un’adorazione eucaristica. Era come se mi dicesse: «Da oggi ci sono io nella tua vita». Non ho più potuto farne a meno. Poi l’ho sperimentato nelle persone che bussano a questa porta. Ho scoperto un Cristo bisognoso del mio aiuto. I Padri del deserto dicevano che l’ospite è Cristo stesso.

Francesco: Ma capita anche il contrario. Le persone arrivano e qualche volta ci trovano impegnati in tutt’altro, poi ci dicono che le abbiamo aiutate tanto e che attraverso di noi sono riuscite a vivere un’esperienza di pacificazione. Questa è l’esperienza che quasi tutti dicono di aver avuto. Ma se qui la gente riesce a trovare un suo equilibrio è certamente ben al di là di quello che noi siamo capaci di dare, anche negli esercizi spirituali o nei percorsi di discernimento che facciamo. In questo leggo l’azione di Dio. A volte ci sembra di aver accolto male, di essere stati distratti. Invece poi scopriamo che non è così.

E nel fare icone?

Daniel: Nel fare quella di Cristo ho scoperto e scopro ogni volta che quel volto ti si impone, non dipingi il volto che desideri. Gesù ti fa andare oltre, non si limita e non ti limita a quello che a te sembra di desiderare.

Viene da chiedersi: come sarà realmente quel Volto?

Francesco: Io lo penso come il compimento di tutto ciò che ho sperimentato nella vita ed è rimasto incompleto. Tanti incontri, tante storie irrisolte, ingiuste, dolorose, tante cose che non hai portato a termine... Sarà il Volto a guarire, a dare ragione di quanto è successo nella storia. Tutto ciò che sembra incompleto e frammentario, in quel Volto acquisterà significato. Secondo me il Volto di Dio sarà pieno delle nostre storie e in lui finalmente le capiremo. Il Signore Gesù si veste di tanti abiti e quando lo vedremo sarà la pienezza di quelle persone di cui si è vestito. Ma sarà tante altre cose che io non so, che noi non sappiamo e in questo senso dovremo essere pronti per riconoscere la sua novità assoluta. Quando si rivelerà sarà così uguale e così diverso da richiedere in noi la conversione definitiva.

Una conversione?

Francesco: Credo non ci sia altra parola. Del resto san Benedetto nella Regola non usa il termine “vita monastica”, ma dice “quando uno viene nella conversione”. La vita monastica, cioè la vita nella fede, è questo crescere nell’esercizio della conversione, così che quando lui ci mostrerà il suo Volto potremo essere capaci di riconoscerlo prontamente.

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