venerdì 4 gennaio 2019
Custodi di un sapere inarrivabile: astronomi, astrologi, fisici, matematici, mistici, conoscitori non solo del cielo ma di quello che oggi si definirebbe l’inconscio collettivo
L'eterno mito dei Magi nei poeti dell'Epifania
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l viaggio dei Magi è celebrato nell’Epifania, che significa apparizione, manifestazione. I magi erano una casta di studiosi e maghi che, nella regione dei Medi, tramandano un sapere occulto e straordinario. Astronomi, astrologi, fisici, matematici, mistici, conoscitori non solo del cielo ma di quello che oggi si definirebbe l’inconscio collettivo, o il profondo, il loro sapere inarrivabile si disperse nei secoli in qualche incendio o crollo di biblioteca, ma giunse, a pezzi, ai grandi spiriti dall’antichità a Medio Evo, dai Padri della Chiesa ai poeti sufi, mistici islamici di profonda impronta persiana, fino a Dante e a pochi altri iniziati. Erano zoroastriani, postulavano una venuta di Dio sulla terra in forma umana. Il fatto che gli uomini più sapienti della terra leggessero in quella stella la stessa inequivocabile rivelazione che i poveri pastori e i contadini analfabeti avevano percepito tremando, scrive uno dei miti più potenti della venuta di Cristo. Il più sapiente e il più umile leggono lo stesso segno, il nobile zoroastriano adoratore del fuoco (che incontreremo ancora nel viaggio di Marco Polo narrato nel Milione), lascia il suo castello e la sua biblioteca per un lungo viaggio, per inginocchiarsi a adorare il figlio di Dio. Lì si era già inginocchiato quell’uomo rozzo, sporco, ignorante, che, nel Presepe, guarda in alto con le mani sugli occhi, il cosiddetto “Incantato della stella”.

Sapienza e umiltà si confondono l’una nell’altra. L’Adorazione dei Magi è un tema canonico nella pittura dal XIII al XVI secolo, due momenti esemplari brillano in questo periodo natalizio-epifanico a Milano, il capolavoro del Perugino ( esposto a Palazzo Marino) e l’altra celebre Adorazione, quella di Paolo Veronese, al Museo Diocesano. Il viaggio dei Magi, così frequente nella pittura dal XIII al XVII secolo, connesso alle tante, straordinarie Natività, non conosce pari fortuna nella poesia. Per poi trovare una straordinaria trilogia nel Novecento, credo non a caso. Nel secolo della crisi, degli «hollow men» (uomini vuoti) di Eliot, dell’«età dell’ansia» di Auden, nel tempo del dubbio, dello sgretolamento del sacro, dell’angoscia, tre grandi poeti riprendono il mito dei sapienti che seppero leggere la rinascita del mondo scrutando nel cielo, individuando una stella. Quella stella segnalava inequivocabilmente il punto dove nasceva il Salvatore, la grotta, o la capanna in cui Dio, in forma di bambino, scendeva sulla terra per noi. Non è un caso che un mito così poco diffuso nella letteratura come quello dei tre Magi si accenda nel Novecento, come una stella.

Tre poeti si volgono al mito della speranza, e della sapienza che conduce alla strada capace di rovesciare la morte, di scoprire la vita eterna: il sogno di ogni sapiente onesto, il sogno dei Magi, la preghiera sillabata dai tre poeti, Rainer Maria Rilke, Thomas Eliot, William Butler Yeats, Tutti e tre scrivono nella prima metà del secolo una poesia sull’argomento, Il viaggio dei magi Eliot, I Re Magi. Leggenda, Rilke, I Magi Yeats. Un triangolo strepitoso, Rilke Eliot e Yeats sono tre delle massime voci della poesia moderna. Fanno scuola, i Magi entrano nella poesia del Novecento, citiamo almeno Andrée Frénaud, ma la tradizione poetica di quel mito stravive anche oggi. Se magicamente i Re Magi appaiono come inseguitori e adoratori di una stella nel cielo, più opaco che turbato, del Novecento, per opera di tre massimi poeti (i poeti sono affini ai Magi nelle aspirazioni, dotati di una sapienza volta al segreto della rinascita, al superamento della morte, segreto in cui poesia e preghiera, pur differenti, si baciano), è opportuno inscrivere il loro viaggio e la loro visita nell’ambito della Natività, come si riscontra nella grande pittura italiana fino al Seicento. Questo è il mito che ispira la poesia di Thomas Stearns Eliot. Narrata come un viaggio ulissico, con una versificazione incalzante e ondosa, ci mostra l’avventura, i pericoli, i segni inquietanti, soprattutto ci rivela l’affanno del cuore dei Magi che inseguono una visione certa ma misteriosa, ignota quanto percepita come presente.

A quel punto, di fronte alla capanna, la scoperta rivelante e tremenda: noi non abbiamo assistito a una nascita ma a una morte. Tutto il mondo che precedeva quella nascita, il nostro mondo, tutto il mondo divino interrogato e adorato, all’improvviso si rivela un teatro di illusione, un tempio di immagini ingannevoli. Così tornammo al nostro mondo ormai estranei, tra gente che adorava idoli ormai cancellati dalla nostra mente. Ormai a disagio, scrive Eliot…Mentre uno sconvolgimento del tutto diverso turba i Magi di Yeats, concepiti dal poeta non in tre persone, ma in una moltitudine in processione, i cui protagonisti vivono un sentimento per nulla affine a quello dei magi eliotiani. Anche quelli di Yeats sono colpiti dalla nascita, miracolosa, ma l’esito di quella nascita, il Calvario, il «mistero del pavimento bestiale » del mondo, li porta a non seguire la vita del bambino che è nato, a rifiutare il tumulto del Calvario, a vedere in quella nascita una rinascita dell’uomo antico. Una rinascita non cristiana, o quantomeno leggente il cristianesimo da un’ottica neopagana.

Rilke: nella sua poesia I Re Magi, sottotitolata Leggenda, l’incanto rivive come simultaneamente avvenne nei saggi e eleganti zoroastriani e nel porcaro analfabeta: Rilke fa tutto umile e tutto oro: «Un tempo, quando all’orlo del deserto/ si dischiuse la mano del Signore/ simile a un frutto estivo/ che il suo nocciolo annuncia,/ ci fu un prodigio: da lontano/ si incontrarono e si salutarono/ tre re e una stella» Allora la stella ride, su «quei tre carichi d’oro e di topazi,/ con facce scure e ottuse di pagani,/ » corre alla capanna e si rivolge a Maria e le dice: «Ecco, ti porto viandanti da molti/ paesi lontani./ Tre re di gran possanza, /non spaventarti troppo./ (…) Vanno da tanto, simili a pastori,/ e intanto il loro regno, / maturo, cade a Dio sa chi nel grembo./ E mentre il bue, qui, come vento caldo,/ soffia il suo alito ai re nell’orecchio,/ forse son diventati in quel frattempo/ poveri, forse già decapitati». La stella corre a Maria, lasciando il suo cielo le indica i re che ora si sono inginocchiati, grazie alla loro sapienza, alla loro conoscenza del cielo degli astri. E inginocchiandosi a Gesù hanno già perso tutto il potere terreno, sono già poveri, prevede la stella, forse sono già decapitati. Questa è l’Epifania, la festa che fa rima con Poesia.

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