martedì 7 dicembre 2021
Torna “Dov’eri, Adamo?”, il romanzo d’esordio del premio Nobel tedesco, che fu tra i primi a denunciare la Shoah
Heinrich Böll

Heinrich Böll - Epa

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Dov’è tuo fratello? E tu dov’eri? Le due domande si intrecciano sullo sfondo del primo omicidio e, da Caino in poi, non smettono di riproporsi ogni volta che si consuma una violenza. Ritornano anche nei titoli di due libri apparsi degli anni Cinquanta e Sessanta, entrambi di autori tedeschi ed entrambi incentrati sulle efferatezze della Seconda guerra mondiale. Dov’eri, Adamo? (traduzione di Anna Ruchat, Oscar Mondadori, pagine 196, euro 20) fu nel 1951 il primo romanzo di Heinrich Böll, futuro premio Nobel per la Letteratura. Nato nel 1971 e morto nel 1985, Böll assunse molto presto il ruolo di coscienza inquieta rispetto a un passato che la Germania avrebbe preferito dimenticare. Già nella novella Il treno era in orario (1949) e nei racconti di Viandante, se giungi a Spa... (1950) lo scrittore aveva rappresentato in tutta la sua durezza la vita dei soldati della Wehrmacht, esecutori non sempre riluttanti delle atrocità naziste. In Dov’eri, Adamo? gli stessi materiali – in larga misura autobiografici, dato che Böll aveva combattuto al fronte, riportando tra l’altro numerose ferite – si strutturano in quella che, nella sua postfazione, Alberto Cavaglion efficacemente descrive come una spirale narrativa, capace di riprodurre nel lettore la stessa sensazione di spaesamento patita dai personaggi. Sperimentale proprio per la sua tenace adesione alla realtà, il romanzo si svolge in Ungheria nelle settimane precedenti la caduta del Terzo Reich. È l’ultimo atto della Soluzione Finale, il più disperato e terribile. A finire invischiata nelle retate è la trentatreenne Ilona, ebrea di nascita ma cattolica per educazione e intima convinzione. Di lei si innamora il coetaneo Feinhlas, un tenente tedesco che da civile svolge, senza particolare ispirazione, il mestiere di architetto. Il loro è un incontro brevissimo, sospeso sull’orlo di una tragedia dalla quale non tarderanno a essere inghiottiti. Prima, però, Ilona riesce a levare per un’ultima volta la voce nel limpido canto delle litanie, opponendo ai propri aguzzini la scandalosa bellezza della liturgia. L’intreccio teologico è fittissimo, quasi spericolato, e non soltanto perché – osserva ancora Cavaglion – la persecuzione degli ebrei viene riconsiderata nella prospettiva di un cattolicesimo inquieto e tutt’altro che accomodante. Come se non bastasse, la nozione centrale del libro, e cioè l’invito a pregare «per consolare Dio», deriva a Böll dal pensiero di Léon Bloy (questa volta la notazione è della traduttrice Anna Ruchat), quello stesso Bloy solitamente sospettato di antisemitismo. Al di là della complessità concettuale, che nulla toglie alla forza del racconto, l’importanza di Dov’eri, Adamo? sta nella tempestività dell’iniziativa di Böll, che si serve dell’invenzione letteraria per denunciare un orrore altrimenti misconosciuto. Gli stessi sentimenti di sdegno e di insofferenza emergono dall’intervento del 1983 ora riprodotto come prefazione all’edizione italiana di Il Ghetto di Varsavia di Joe J. Heydecker (traduzione di Rosario Muratore, Meltemi, pagine 212, euro 16, con un saggio di Monica Di Barbora e Adolfo Mignemi), raccolta commentata di una sconvolgente sequenza di immagini scattate all’inizio del 1941. Fotografo professionista, l’antinazista Heydecker era stato inquadrato nell’esercito tedesco come assistente di camera oscura e, di stanza a Varsavia, aveva approfittato della temporanea complicità di un agente della polizia ebraica per introdursi nel Ghetto. Le sue istantanee provavano senza alcuna possibilità di equivoco le prevaricazioni degli occupanti a danno della popolazione ebraica, ma rimasero inedite in Germania fino agli anni Ottanta, dopo che nel 1960 lo stesso Heydecker ne aveva curato la pubblicazione in Brasile, dove si era trasferito trasferito. Ma questo reportage, argomenta Böll, non costituisce l’unica documentazione della Shoah, della cui esistenza molti erano a conoscenza. «Dove sono questi testimoni oculari? – insiste –. Dove le loro fotografie? Vengono forse mostrate in segreto e ghignando negli incontri dei “vecchi camerati”?». Ancora domande, appunto. Del resto, anche la prima edizione del memoriale di Heydecker portava un titolo con il punto interrogativo. Quel punto interrogativo, ossessionante e ripetuto: Dov’è tuo fratello Abele?

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