mercoledì 17 luglio 2019
Lo storico Fabio Levi si sofferma sulla continua ricerca di interlocutori, dalla pubblicazione di «Se questo è un uomo» fino a «I sommersi e i salvati»
Primo Levi (Ansa)

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La prima lezione risale al 2009, quando l’italianista Robert Gordon prese in esame il tema della «sfacciata fortuna», ovvero del ruolo che la sorte aveva giocato nella vicenda dei sopravvissuti della Shoah, alla luce di una tradizione che risale a Shakespeare, a Machiavelli e all’amatissimo Dante.

Da allora quella della Lezione Primo Levi è diventata una consuetudine molto apprezzata non solo dagli studiosi, ma anche da quanti, sempre più numerosi, intendono approfondire la conoscenza di questo scrittore irripetibile. Dall’iniziativa, che fa capo al torinese Centro internazionale di studi Primo Levi (www.primolevi.it), è nata anche una collana pubblicata da Einaudi in edizione bilingue, italiana e inglese.

Il volume più recente, intitolato semplicemente Dialoghi / Dialogues (pagine XII+156, euro 19,00) riproduce il testo della lezione tenuta nell’ottobre scorso dal direttore del Centro, lo storico Fabio Levi, che ha voluto indagare uno dei tratti più caratteristici della personalità dello scrittore: la disponibilità al confronto, la ricerca di interlocutori con cui misurarsi anche nella differenza di opinioni, la volontà di andare oltre il pregiudizio dell’incomunicabilità. Centrale nella tessitura di I sommersi e i salvati, dove un capitolo è dedicato alle lettere provenienti dai lettori tedeschi di Se questo è un uomo, la tensione al dialogo ha il suo territorio di elezione nel rapporto di Levi con giovani e giovanissimi. Incontri nelle scuole, interviste spesso patrocinate dagli insegnanti, dibattiti pubblici: nel tempo le occasioni sono state moltissime, tanto da rendere pressoché impossibile un elenco completo.

«Primo Levi non andava nelle classi a fare lezione – osserva Fabio Levi –. Preferiva presentarsi come un chimico che aveva attraversato un evento tragico della storia recente e si metteva a disposizione di chi volesse chiedergli qualcosa ». Rispondendo con franchezza e mostrando sempre il massimo rispetto per chi formulava la domanda, indipendentemente dall’età.

Fabio Levi si sofferma sull’ultima conversazione dello scrittore con gli studenti, svoltasi a Pesaro nel maggio del 1985 all’interno di un ciclo di incontri con autori italiani contemporanei. A differenza di altri, che preferiscono insistere sull’aspetto più propriamente letterario della loro attività, Primo Levi si muove lungo un orizzonte più ampio, più drammatico.

Quando i ragazzi gli domandano che cosa sia cambiato negli anni che separano Se questo è un uomo, apparso per la prima volta nel 1947, dal romanzo del 1982, Se non ora, quando?, Levi afferma inizialmente che «non è cambiato nulla, o è cambiato molto poco, ma si è aggiunto molto». E subito dopo aggiunge: «In quarant’anni, non solo uno scrittore, ma qualunque persona, cambia profondamente. Così sono cambiato io».

Non si tratta, in ogni caso, di un atteggiamento assunto a esclusivo beneficio dei ragazzi. La conferma viene, ancora una volta, dalla tessitura di I sommersi e i salvati, il libro nel quale vengono analizzate le possibili motivazioni dei diversi gruppi umani presenti nel lager, non esclusi i componenti della controversa «zona grigia» nella quale trovano posto coloro che si ritrovarono a collaborare con gli aguzzini. Probabilmente, conclude Fabio Levi, nelle parole dello scrittore andrebbe cercato anche «tutto ciò che in esse è negato, e che viceversa è parte del patrimonio migliore della nostra umanità». Sarebbe un modo, tra l’altro, per non interrompere il dialogo con lui.

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