venerdì 29 luglio 2022
Il Museo Novecento di Firenze racconta la parabola creativa dell'artista attraverso una trentina di opere tra dipinti, grafiche e sculture
Corrado Cagli, “Sette pennelli”, 1934 (particolare)

Corrado Cagli, “Sette pennelli”, 1934 (particolare) - Firenze Museo Novecento

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Così Guttuso, facendo riferimento agli anni Trenta, descrive la figura di Corrado Cagli: «Svegliò i morti in quegli anni. Non ci furono giovani di qualche talento in Italia che, in qualche modo, non si unissero a lui: da Capogrossi ad Afro, a Purificato, a Leoncillo, a Mirko, a Ziveri, a De Libero, ad Antonello Trombadori, a Franchina, a Birolli, a Tomea, a me stesso». Sono gli anni degli esordi della carriera dell’artista, legati alla Scuola romana, prima del suo trasferimento alla fine del 1938 a Parigi, a causa delle persecuzioni razziali, e successivamente nel 1940 a New York, per fare poi definitivamente ritorno in Italia nel 1945 con la divisa dell’esercito americano. Rientrò da liberatore per riprendere subito il versatile percorso creativo che lo ha contraddistinto per tutta la sua vita e che precisò fin dal 1933: «È ovvio insistere – disse – sulla possibilità di coesistenza di più generi in uno stesso poeta, in uno stesso pittore». Cagli è stato un artista eclettico non solo perché ha esplorato tanti stili, dal classicismo visionario dei primi anni Trenta al realismo e all’espressionismo della fine del decennio; dal neocubismo del dopoguerra al mondo onirico e segnico della sua pittura tarda. È stato eclettico anche nelle tecniche in cui si è cimentato perché, oltre alla pittura, ha praticato la ceramica, la scultura, l’arazzo in una ricerca incontenibile, quasi impossibile da sintetizzare. Della parabola creativa di Corrado Cagli (1910-1976), ripercorrendola in senso cronologico, si occupa “Corrado Cagli. Artista copernicano” (Firenze, Museo Novecento, fino al 20 ottobre), la mostra curata da Eva Francioli, Francesca Neri e Stefania Rispoli che hanno selezionato una trentina di opere tra dipinti, grafiche e sculture provenienti dal patrimonio del museo e da collezioni private. L’apertura del percorso espositivo è affidata a I boscaioli (1932) con cui, attraverso le sollecitazioni stilistico-formali che guardano alla pittura muraria quattrocentesca e, in particolare, a Masaccio, Piero della Francesca e Paolo Uccello, Cagli reinterpreta in chiave anticelebrativa l’immensa opera di bonifica dell’agropontino rivendicando la propria posizione di “pittore di storia”. Al 1934 risale Sette pennelli, opera realizzata grazie alla tecnica dell’encausto e a una pittura smaltata a campiture piatte, con una composizione di pochi, semplici elementi, che si pone come uno dei primi esercizi stilistici di astrazione. Seguono i lavori della maturità che risentono dell’interesse verso le esperienze internazionali ed evidenziano come, ancora negli anni Cinquanta e Sessanta, l’artista non rinunciasse a perseguire una personale ricerca su astrazione e figurazione (Baloyannis, 1952), nonché sulla tecnica oltre che sullo stile. Lo dimostra Tebaide del 1958, opera realizzata tramite un procedimento fondato sulla polverizzazione ad aerografo del colore, così da creare un effetto illusorio simulando la matericità della carta, le sue increspature e piegature.

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