domenica 14 luglio 2019
Una mostra al Grand Palais di Parigi e una a Palazzo Madama di Torino indagano il prima e il dopo quel 20 luglio 1969, quando la conquista coronò secoli di suggestioni letterarie ed artistiche
Kader Attia, “Big Bang” (2005)

Kader Attia, “Big Bang” (2005)

COMMENTA E CONDIVIDI

Scrivendo Parigi era viva, Gualtieri di San Lazzaro riporta momenti di vita degli anni Venti e Trenta e per dire dei croissants ancora tiepidi di forno li chiama “panini lunati”, cioè a forma di luna. La Luna è sicuramente un mito che più di altri ha illuminato il Novecento (ricordiamoci il battesimo del secolo che proclamava di «uccidere il chiaro di luna»), e cinquant’anni fa venne realizzata l’impresa di mettere sopra i piedi. L’inospitale satellite vuoto, senz’aria, silenzioso e arido se ne stava lì imperturbabile da milioni di anni. Dopo quella data fatidica c’è anche chi ha goduto il beneficio di essere “illunato”, ovvero sepolto sul suolo selenico. Come il geologo Eugene M Schoemaker, le cui ceneri in un’urna vennero lanciate in orbita nel 1999 dentro la sonda Prospector e diciotto mesi dopo caddero sul suolo lunare per sempre. Una mostra bella e non troppo sofisticata nella conduzione scientifica e storica, si chiuderà proprio il 22 luglio a Parigi, nelle sale del Grand Palais, dopo aver proposto ai visitatori per circa quattro mesi una rivisitazione del mito storico, tecnico e letterario della Luna. Dal viaggio reale al viaggio immaginario( a passarsi il testimone, proprio negli stessi giorni si apre a Torino, nelle stanze di Palazzo Madama, la mostra Dalla terra alla Luna. L’arte in viaggio verso l’astro d’argento, fino all’11 novembre). L’esposizione parigina ha un taglio umanistico, scelto da Alexia Fabre e Philippe Malgouyres: proprio quest’ultimo scrive in catalogo una cosa che oggi, in quest’epoca di odii contrapposti e puritanesimi ipocriti, a molti potrà sembrare uno scandalo ma rientra nel cinismo con cui vinti e vincitori continuano a collaborare dopo le più grandi tragedie e distruzioni. Realismo? Non c’è dubbio, ma come si dice spesso: la vita va avanti. Così il fisico tedesco Wernher von Braun, inventore dei micidiali missili con cui il nazismo sperava di ribaltare le sorti di una guerra mondiale ormai perduta, le famigerate V2, venne chiamato dagli americani a seguire il programma spaziale che avrebbe portato alla conquista dello spazio, cioè della Luna. E sarà proprio una V2, il 24 ottobre 1946, a essere lanciata dal deserto del Nuovo Messico per portare in orbita la macchina fotografica che scatterà la prima foto della terra dallo spazio: era l’operazione Paperclip. Malgouyres ci ricorda infatti che «la tecnologia sviluppata dai nazisti fu la base delle realizzazioni americane e sovietiche del dopoguerra». E già nel 1944 Stalin chiese ai suoi strateghi un piano per radere al suolo Berlino usando le V2. E così arriviamo al punto: la conquista della Luna era la nuova frontiera di un mondo dove chi arrivava primo guadagnava prestigio, forza e potere sull’avversario.

La continuazione della guerra (fredda) con altri mezzi. L’impresa rievoca modelli romantici ed eroici, una vera epica. E lo stereotipo classico è quello che la accosta alla scoperta di Cristoforo Colombo. In entrambi i casi si mettono i piedi in un altro mondo. Nel 1959 i sovietici erano un passo avanti agli americani. Ma alla fine della rincorsa questi erano scesi per primi sul suolo lunare e avevano portato a casa molto materiale e immagini che serviranno agli studi agli scienziati, ai geologi e agli ingegneri per decenni. Il confronto, in fatto di peso è schiacciante: 326 grammi di rocce i sovietici, 382 chili gli americani. I sovietici però fin dall’inizio resero disponibili i loro reperti agli studiosi internazionali; più furbi gli americani che col presidente Nixon decisero di regalare ai paesi del mondo piccoli frammenti, reliquie, del suolo lunare incastonati in planchette realizzate con la forma dello Stato che riceveva il dono. Un bell’esempio di cooptazione degli orizzonti. Non era dunque un caso che la macchina capitalistica più efficiente al mondo cercasse di stabilire rapporti friendly cedendo agli altri paesi un simbolo che li affiliava a una comunità internazionale all’epoca divisa in bloc- chi contrapposti (oggi le cose andrebbero in modo diverso: i cinesi, per esempio, applicano una idea di capitalismo caterpillar che ovunque arriva compra e gestisce in proprio, quindi accaparrandosi risorse, grandi fette di territorio di altri paesi, quelli africani nella fattispecie). Dalla parodia del greco Luciano di Samosata nella Storia vera, che è in realtà un brillante burlesque dove volendo superare le Colonne d’Ercole si può seguire la prima descrizione in un’opera letteraria del viaggio sulla Luna, la mostra e il catalogo ci portano in una fitta selva di rimandi culturali dove paesaggi selenici riemergono tanto dal secondo canto del Paradiso dantesco (il nostro satellite appare talvolta come il limbo delle anime incompiute) quanto in Ariosto che immagina Astolfo sulla luna, oppure nel picaresco giro di avventure descritte dal teologo inglese e vescovo di Hereford nel 1638 in The Man in the Moone e così via fino alla fertile immaginazione di Edmond Rostand alle prese con Cyrano o di Jules Verne. Anche il cinema rese omaggio a Selene fin dal muto. Fritz Lang girò nel 1929 Una donna nella luna ( Frau im Mond), vera pietra miliare nella rappresentazione dei viaggi spaziali che annoverava fra i suoi consulenti anche il giovane von Braun, poi al servizio della Germania nazista.

I presupposti “bellici” c’erano già e, a guerra in corso, le V2 voleranno portando stampata sulla fusoliera proprio la “donna nella luna”. Lo scenario disegnato dall’esposizione parigina passa in rassegna anche miti, simboli e influenze sulle religioni (alla figura selenica nel cristianesimo aveva dedicato importanti e più speci- fici studi il teologo Hugo Rahner nel trattato sui Simboli della chiesa alla luce della patristica greca e latina) e tocca argomenti come l’interpretazione psicoanalitica, la figura della Madre universale, le influenze negative della Luna piena, i legami col potere e i tabù. In questo lungo itinerario culturale la mostra alla fine si pone una domanda non peregrina: la Luna ci fa ancora sognare? Il fascino della Luna è certo un po’ offuscato da altri miti. La mostra si apre sottolineando il ruolo che la fotografia ebbe sull’immaginazione facendo vedere l’“altro mondo” che gli uomini, fin dalla preistoria, avevano visto come un disco luminoso e piatto che appariva e spariva nel cielo. Gli studi sulle macchie lunari avevano indotto altra consapevolezza, ma solo quelle foto ad altissima definizione, eseguite da macchine modificate e potenziate (collaborarono con la Nasa industrie come Kodak, Hasselblad e Zeiss) e su pellicole, come scrive Martin-Malburet, «adattate al vacuum spaziale e lunare», ci hanno portato verso il sogno.

La Nasa, per molto tempo ne rese pubblica soltanto una ridotta selezione, ma quelle foto giocano un peso decisivo nella comunicazione geopolitica americana: coinvolgere il popolo americano e il mondo nella mitologia della nuova frontiera. Astronauti divenuti star, cedevano le loro immagini a “Life Magazine” o al “National Gepgraphic”; ingenti fette del bilancio americano vennero stanziate per un decennio a sostegno del sogno prefigurato da John Kennedy, che non riuscì a vedere la sua profezia realizzata. Neil Amstrong che mette il primo piede sulla luna sotto gli occhi stupefatti di mezzo miliardo di telespettatori e Eugene Cernan che lo toglie per l’ultima volta rientrando a casa con l’Apollo 17: nel mezzo, un decennio dove la scoperta da un lato di un mondo bruto e vergine, dominato solo da sfumature di grigio, rinasce nella rivelazione definitiva attraverso le fotografie della Nasa e rivela di essere un vero corpo celeste, un mondo a tre dimensioni. Forse potremmo dire che la Luna come la conosciamo oggi non esisterebbe se di essa non ci fossero quelle foto a parlarci unendo realtà e poesia. Grazie a esse ciò che più è reale torna a essere nella nostra mente quanto di più immaginario e sognato.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: