sabato 18 giugno 2022
Padre Guidalberto Bormolini: «Come il monaco cerca il volto di Dio nella preghiera e nella meditazione, così tutti lo incontriamo nei sofferenti. Servire chi soffre è un’esperienza mistica»
Padre Guidalberto Bormolini

Padre Guidalberto Bormolini - Ets

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«Il volto di Dio? Sono le sembianze con cui Lui si rivolge a me, a te. Dio è meravigliosamente un mistero eppure si manifesta nella Parola, si manifesta nell’aspetto del Figlio, nella bellezza che, dicevano gli antichi, conduce al 'più bello'. Se la creazione è così bella spiegavano i Padri, quanto più bello sarà il suo artefice...». Padre Guidalberto Bormolini sa essere come l’acqua che scorre placida, ma non conosce ostacolo. Il suo parlare procede per illuminazioni e associazioni d’idee mentre di tanto in tanto nella grande stanza del convento di San Leonardo in Palco, dei Ricostruttori nella preghiera a Prato, entrano collaboratori e persone che chiedono di lui. Una casa in cui svariate attività si muovono allo stesso modo delle parole di Bormolini, placide e continue in un reciproco travaso di intuizioni, di iniziative, di persone, conoscenze e condivisioni. Ci sono ritiri spirituali, corsi di meditazione silenziosa, di preparazione all’accompagnamento nel fine vita, corsi di iconografia, di erboristeria, di leadership e spiritualità per dirigenti d’azienda... Tutto, come padre Guidalberto sottolinea anche in un recente libro edito dalle Edizioni Terra Santa ( Questo tempo ci parla. La rivoluzione spirituale e il sogno di una nuova umanità; pagine 220, euro 16) nasce «da due grandi filoni spirituali che sono l’accompagnamento nel fine vita e l’ecologia spirituale».

Bellezza e sofferenza insieme.

La bellezza ci manifesta ciò che è nascosto nelle pieghe della creazione. La sofferenza è in queste pieghe, in questo mistero.

Il mistero di Dio e del nostro incontro con lui?

Il Vangelo dice con chiarezza: se lo avete fatto ai più piccoli lo avete fatto a me. Parole che pongono il mistero alla nostra portata. Così come il monaco cerca il volto di Dio nella preghiera e nella meditazione, allo stesso modo lo incontriamo nei sofferenti. Incontrare chi soffre e servirlo è un’esperienza mistica. L’incontro col sofferente è l’incontro con Dio.

Due ricerche distinte?

Credo che siano i due poli della mistica: quello del contemplativo e quello di chi serve i sofferenti. Ma nella storia della Chiesa spesso le due cose vanno insieme. Padre Gianvittorio Cappelletto, il gesuita che fondò i Ricostruttori, ci ha insegnato a procedere in queste due direzioni: cercare il volto di Dio nella preghiera silenziosa e in chi soffre o ha perduto la via.

Viene in mente una canzone di Battiato.

Lo spirito degli abissi, dove dice: «Mi è ritornata voglia di pregare seguendo la tenacia dei padri del deserto, per quelli che hanno perso da tempo la loro via. Per chi non riesce a sopportare i dolori dell’esistenza». Un testo che mette insieme la preghiera silenziosa degli eremiti, chi ha perso la strada di Dio e il dolore dell’esistenza. Battiato sapeva che chi soffre davvero è colui che vive la malattia dell’anima. E in quella canzone la considera la malattia dell’umanità che ha perduto l’intimità col suo creatore ai tempi dell’Eden: «I giorni abbaglianti di luminosità... Nel mio giardino il cielo era più vicino... a me e a Dio».

Quando eravamo faccia a faccia con Dio.

Mircea Eliade spiegava che la perdita dell’Eden è il mito più diffuso nelle religioni. Abbiamo perso ciò per cui siamo stati creati: stare alla presenza di Dio. Questa è la malattia radicale dell’essere umano che già Platone aveva individuato: sentire l’assenza del suo Volto senza capire e non sapere come colmarla. Eppure non c’è che una strada ed è accettare il mistero, immergersi in esso a ogni passo, a ogni incontro per cogliere di volta in volta un aspetto di quel Volto e tornare a sentire che siamo ancora alla sua presenza. Questa è la mistica del quotidiano, come la chiama papa Francesco.

Preghiera e Presenza, come in quei versi di Battiato. Lei lo ha conosciuto: per lui era proprio così?

Il suo sguardo sull’Oltre era costante. Nelle canzoni parlava d’amore, ma mi diceva che era amore che mirava in alto, non amore terreno. Tante volte abbiamo meditato insieme nella sua casa a Milo e quando ero lontano spesso mi chiamava la sera prima di dormire chiedendomi: «Preghiamo insieme? ». Per lui la preghiera era fondamentale. Ammirava gli eremiti e diceva che con la loro ascesi e la loro preghiera sono i caposaldi del pianeta. Purtroppo, aggiungeva, troppo pochi contano sulla potenza della preghiera.

C’è chi non trova la strada, c’è chi la perde...

E lì si incontrano i grandi sofferenti, che spesso soffrono senza sapere, senza capire.

Cosa intende?

Abbiamo detto che tutti viviamo il vulnus della caduta dall’Eden e tutti cerchiamo di lenirlo, ma spesso invece della strada della mistica scegliamo quella dei desideri, delle passioni. È la strada della proposta consumista e così ci troviamo a cercare qualcosa di infinito collezionando cose finite, che le Sacre Scritture definiscono 'vane' perché inutili allo scopo. Un inganno: abbiamo bisogno di infinito e ci danno in pasto infiniti oggetti finiti innescando un’incessante pulsione al consumo. Ma è solo nell’incontro con l’Infinito che possiamo saziare i nostri bisogni infiniti. E c’è il rischio di avviarsi per una terza via, quella del torpore, della cinica indifferenza, del dissolvimento in se stessi.

Come si cambia strada?

La chiamiamo conversione, ma è il progressivo riorientamento a Dio di ogni cosa di me stesso, anche i difetti. Non è sufficiente credere in Dio perché anche il diavolo ci crede. Rivolgere costantemente il pensiero a Dio, invece, ci conduce per grazia a renderlo presente nella nostra vita e a renderlo presente anche agli altri.

La conversione diventa testimonianza?

Se Dio vive in me e io vivo nel suo amore avviene che anche attraverso di me si mostri il suo Volto. Ma devo vigilare, stare attento a non offrire il mio volto, cioè non portare le persone a me invece che a Colui che nutre di vero amore. Un concetto che si può spiegare con l’immagine del Graal.

Un altro mito.

Direi mistica concreta. Nel simbolismo medievale il calice è il cuore ferito che si apre a coppa per riempirsi dell’amore di Dio. Quando il nostro cuore ne è pieno possiamo offrirne ai sofferenti affinché si dissetino. Il nostro compito è dissetarli con la Sua bevanda perché solo quella disseta l’arsura della malattia esistenziale. Questa è l’acqua viva. Quando offriamo noi stessi diamo troppo poco.

Come conosciamo la differenza?

La differenza la fa la preghiera. Se la preghiera non precede il servizio, se non forma la nostra vita offriamo noi stessi. Se chiediamo il suo amore possiamo offrirlo, se ci appiattiamo nel servizio senza preghiera diamo solo noi stessi. Allo stesso tempo, però, chi porta amore incondizionato porta qualcosa di divino e un amore simile al suo è sempre trascendente. L’amore condizionato, invece, non costruisce amore e lenisce molto poco le sofferenze dell’umanità.

Questa è la sua esperienza col fine vita?

Chi soffre è sensibile all’amore e l’amore che viene da Dio traspare e agisce, non ha bisogno di parole. Dio ha bisogno solo della nostra coppa, del nostro cuore capace di contenere il suo amore versato per poterlo donare. In questo ci chiede di fare una scelta.

Una scelta?

Sì, soprattutto in questo tempo di crisi. Del resto crisi vuol dire scelta. E questo tempo ci chiede di scegliere o l’amore o la morte, essere umani o disumani. Non è più il tempo in cui ci si può permettere di non scegliere: la crisi ecologica, la crisi bellica, la crisi sanitaria, la crisi economica, la crisi migratoria...

La crisi del cuore...

E lì è la nostra scelta. La Bibbia descrive l’Eden irrorato da una sorgente e quattro fiumi. Un luogo che assomiglia al nostro cuore. Quello è il luogo dell’incontro. La preghiera del cuore invita a scendere lì. L’Eden è il cuore divino, il sacro cuore, che può donare incessantemente ricevendo da se stesso. Il nostro cuore, invece, ha due fiumi dai quali riceve vita e due coi quali la ridistribuisce: amore e vita, essenza del nostro essere umani. Se uno solo di questi fiumi si chiude, non riceviamo amore o smettiamo di donarlo, la vita viene inesorabilmente a mancare. L’opposto della vita, però, non è la morte, è il non amore, che è ciò che dobbiamo temere. La morte è un passaggio necessario, interno alla vita: non è chiusura, è apertura a quel Mistero d’Amore e di Bellezza che sana il nostro desiderio d’infinito.

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