sabato 14 gennaio 2017
Torna al Piccolo Teatro di Milano lo spettacolo, con l’ultima regia di Ronconi, tratto dal romanzo di Stefano Massini sulla famiglia che ha segnato l’economia mondiale fino al clamoroso crac del 2008
Il cast di "Lehman Trilogy" di Massini regia di Ronconi al Piccolo: Popolizio, Gifuni, Pierobon, Cabra, De Francovich

Il cast di "Lehman Trilogy" di Massini regia di Ronconi al Piccolo: Popolizio, Gifuni, Pierobon, Cabra, De Francovich

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Il ritorno sulla ribalta del Piccolo Teatro di Milano della Lehman Trilogy di Stefano Massini, ultima e indimenticabile regia di Luca Ronconi che va a concludersi nel luogo dove è nata il 21 gennaio dopo due anni di trionfi, riporta alla ribalta anche il romanzo da cui tutto è nato. Come dice il sottotitolo, Qualcosa sui Lehman( Mondadori, pagine 774, euro 24) è un romanzo/ballata, un flusso ininterrotto di parole che si inanellano in un poetare in prosa, dettato su un ritmo teatrale ricco di immagini cinematografiche, che si evolve in una originale e potente epica contemporanea. Come epica, d’altronde, è la vicenda narrata, l’ascesa e la caduta della famiglia Lehman, protagonista e artefice di 160 anni di storia dell’economia americana e mondiale fino al clamoroso crac del 2008. Per i tanti che hanno applaudito gli interpreti eccezionali della saga Massimo De Francovich, Massimo Popolizio, Fabrizio Gifuni e Paolo Pierobon, Qualcosa sui Lehman è l’occasione di tuffarsi più a fondo nel vortice di questa odissea moderna, molto più ampia delle sue “costole” teatrali, a partire dalla prima produzione francese, che debuttò nel 2014 a Parigi per il Théâtre du Rond-Point e della prossima che verrà diretta a Londra dal premio Oscar Sam Mendes.


Un romanzo “parlato” secondo il metodo Massini, che ha “dettato” i Lehman alla sua videocamera mentre si allenava in bicicletta per le strade nella sua Toscana. Originale anche in questo, come la struttura dello scritto in cui il tempo non è lineare, bensì un sovrapporsi di eventi e personaggi, in una fittissima trama di avvenimenti, colpi di scena, azzardi, contrasti familiari, cadute e ascese. Massini ha voluto andare a fondo di un evento che ha coinvolto e sconvolto le vite di tanti risparmiatori, mettendo in discussione non solo il sogno americano, ma anche le certezze di un sistema economico sino ad allora considerato “infallibile”, in un’illusione di «eternità». E lo ha fatto, con intelligenza e sapienza, raccontando “il gran teatro del mondo”, ben documentandosi sugli aspetti economici per raccontare una saga familiare che inizia nel 1844 quando Henry Lehman, detto “La testa”, figlio di un mercante di bestiame ebreo di Baviera, sbarca al porto di New York e ringrazia Dio per essere arrivato lì, dove tutto è possibile: «Baruch Ha Shem!». Quel che segue è suddiviso in tre parti: Tre fratelli, Padri e figli, L’immortale. Henry inizia la sua scalata insieme ai due fratelli minori Emanuel e Mayer che lo hanno raggiunto, commerciando il cotone grezzo degli schiavi in Alabama. Con i Lehman Brothers si sviluppa il concetto di “mediazione” commerciale che porterà i tre astuti fratelli a inanellare clamorosi successi nell’inebriante iperattivismo di New York. Da lì parte tutto, la nascita della borsa di Wall Street, il canale di Panama, la crisi del ’29, l’industria bellica, gli investimenti in petrolio, le banche, i movimenti di alta finanza in un correre affannoso verso uno smaterializzarsi del concetto di prodotto per arrivare al trading più spericolato. «I lingotti? Le miniere? / Apprezzabili, certo. / Ma vuoi mettere / con il frusciare della banconota quasi invisibile / quasi impercettibile / che tuttavia diventa un frastuono se lo immagini su scala mondiale?».

Mentre cresce questo gigante dai piedi d’argilla, svapora anche l’identità ebraica della famiglia. La cornice di un testo fortemente permeato dalla religione (basta vedere i titoli dei capitoli in ebraico) è quella di un grande requiem. Le nuove generazioni (il feroce Philip, il fratello politico Herbert, e poi il nevrotico erede Robert) abbandonano man mano l’identità ebraica askenazita grazie a cui i loro avi immigrati identificavano il guadagno come una benedizione divina: le nuove generazioni di danarosi newyorkesi diventano più laici e la finanza sempre meno etica. Fino al brusco risveglio finale.

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