lunedì 21 gennaio 2013
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Uno cattolico e l’altro ebreo sono compagni di scuola fra gli anni Ottanta e Novanta dell’800. Uno diventa Papa; l’altro uno dei più famosi medici legali italiani: l’uomo che ebbe l’ingrato compito di riesumare, studiare, ricomporre e riconoscere i 335 cadaveri delle Fosse Ardeatine. Stiamo parlando di Eugenio Pacelli e di Attilio Ascarelli. Un’amicizia, la loro, che durò nel tempo e alla quale il medico e la sua famiglia devono la vita per almeno due volte, negli anni difficili che vanno dalle leggi razziali del 1938 al rastrellamento nazista del ghetto di Roma nel 1943. La vicenda, in parte raccontata dalla figlia di Ascarelli, Silvana (nata nel 1905 dall’unione con Elena Pontecorvo, zia del regista Gillo), e conservata come testimonianza presso l’archivio dello Yad Vashem, è riemersa in questi giorni grazie a I martiri ardeatini. Carte inedite 1944-1945 di M. Contu, M. Cingolani e C. Tasca, volume pubblicato dall’editrice cagliaritana AM&D (pp. 336, euro 30) in occasione dei cinquant’anni dalla scomparsa di Ascarelli. Si tratta della dettagliata documentazione, in gran parte inedita, raccolta dall’anatomopatologo su ognuna delle vittime. Notizie storicamente preziose, tanto più che per alcuni dei trucidati sono rimaste le uniche esistenti.  Eugenio e Attilio (di un anno più grande) frequentano per 8 anni il liceo Visconti di Roma nel periodo in cui il padre di Ascarelli, Tranquillo, è presidente dell’Università israelitica romana. Laureato in Medicina nel 1900, Attilio diventa prima docente di Medicina legale a Macerata, poi direttore dell’ambulatorio dell’Istituto di medicina legale di Roma, oltre che primario presso gli Ospedali Riuniti. Incarichi che è costretto ad abbandonare in seguito alle leggi razziali. Nella primavera del ’39, Eugenio, divenuto Papa, interviene per trovargli un posto alla Pontificia Università Gregoriana. Nei mesi precedenti, come conservato dallo Yad Vashem, Elena Ascarelli viene accolta, con la mamma e i figli al Convento del Sacro Cuore del Bambin Gesù a Roma. «Le suore – testimonia Elena – ci accettarono senza difficoltà. Dissi alla madre superiora che ero ebrea, ed ella informò la gente del convento che eravamo degli sfollati dalla Sicilia (il che era plausibile dopo lo sbarco degli Alleati in Sicilia). Pagavamo una retta relativamente bassa, e il trattamento, date le circostanze di allora era buono. Mia mamma ebbe una cameretta col bimbo di sei anni. Io stavo in un’altra cameretta con la figlia di 9 anni. Le due figlie maggiori erano in camerata. Il figlio Giorgio di 13 anni fu ospitato dal professor Ernesto Buonaiuti, ex prete. Era ben conosciuto come scrittore e filosofo liberale. Mio padre, per l’intervento del papa Pio XII, che era stato il suo compagno per 8 anni di ginnasio e di liceo, fu accettato dalla Università Gregoriana. Giorgio fu poi mandato nel collegio Cristo Re e studiava regolarmente. Io, con gli altri figli, rimasi nel convento fin dopo la liberazione di Roma avvenuta il 4 giugno 1944...». I due amici si rividero una sola volta, a ottant’anni, il 20 maggio 1956, quando Pio XII visita gli Ospedali Riuniti, dove Ascarelli, dopo essere stato direttore della Scuola di polizia scientifica, svolgeva ancora il ruolo di consulente. Una storia che ricorda da vicino quella del generale Guido Mendes, anch’egli ebreo e compagno di scuola di Pacelli al Visconti. La racconta suor Margherita Marchione, biografa di Pio XII, secondo la quale Eugenio era spesso ospite di Guido (le loro famiglie erano vicine di casa a Santa Marinella) in occasione delle festività ebraiche. Nel ’38, Guido e la sua famiglia scamparono all’arresto grazie all’amico, all’epoca Segretario di Stato, che fece avere loro un salvacondotto per rifugiarsi in Svizzera, da dove la famiglia Mendes riuscì a emigrare in Palestina.
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