giovedì 25 marzo 2021
In vista del centenario del Milite Ignoto arriva da Senato e Camera la sollecitazione al Governo a riabilitare i militari giustiziati per tradimento e diserzione. Parla il vescovo Santo Marcianò
Una fucilazione sul fronte italiano durante la Prima guerra mondiale

Una fucilazione sul fronte italiano durante la Prima guerra mondiale - Museo Storico di Rovereto

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Il ripudio della giustizia sommaria conseguenza ulteriore del ripudio della guerra come modalità di risoluzione delle controversie fra nazioni, principio di convivenza fra i popoli proprio della dottrina cristiana divenuto norma costituzionale. Il vescovo Santo Marcianò spiega così l’impegno che da tempo l’Ordinariato militare per l’Italia svolge per spalleggiare la campagna di alcuni storici e dei familiari per ottenere la riabilitazione delle centinaia di fucilati senza processo della Grande guerra. Passato il centenario del conflitto potrà essere la ricorrenza dei 100 anni dalla traslazione della salma del Milite ignoto, il prossimo 4 novembre, l’occasione per dar luogo a una cerimonia ufficiale che preveda l’apposizione di una targa al Vittoriano in ricordo dei fucilati (si parla di «oltre settecento», ma in realtà sarebbero più di un migliaio), aprendo la strada, a seguito di specifici approfondimenti, anche alle singole riabilitazioni. L’ha deciso una risoluzione approvata all’unanimità anche dalla Commissione Difesa della Camera, dopo analoga deliberazione al Senato, che presto sarà operativa con il voto dell'Aula, impegnando il governo a intervenire. Nei giorni scorsi è stato siglato un protocollo d’intesa (presenti il generale Gerardo Restaino per il Comando militare della Capitale, il generale Rosario Aiosa per il gruppo delle Medaglie d’oro al valor militare, i rappresentanti dell’associazione nazionale bande musicali, e il consigliere del ministero della Difesa Gianfranco Paglia) per fissare il programma di celebrazioni del 4 novembre 2021, ricorrenza sottolineata anche dal presidente Sergio Mattarella nel messaggio di fine anno. In cui dovrebbe essere previsto, ora, anche un evento dedicato ai fucilati. Potrà essere l’occasione, norme anti-Covid permettendo, per venire in contatto con importanti testimonianze della presenza della Chiesa dentro gli orrori della guerra, attraverso l’opera dei cappellani militari, a partire da un Santo come Angelo Roncalli, del quale sono custodite, nel Sacrario delle Bandiere all’interno dell’Altare della Patria, importanti cimeli e reliquie.

La proposta di riabilitare i fucilati nella Prima guerra mondiale ha suscitato l’interesse di molti storici. Che cosa vi ha spinto a dare il vostro contributo?

Non è certo mio compito valutare gli studi degli specialisti. Ritengo però significativo annoverare tra le vittime della guerra anche i soldati giustizia- ti perché rifiutavano di andare in guerra, condannati senza sentenza o con sentenze inadeguate. E che la loro esecuzione fosse motivata da ragioni punitive o dimostrative non cambia la violenza ingiustificata, gratuita, unita a diffamazione, vergogna, umiliazione. Non c’è ragione che possa giustificare tale violenza, non c’è mai ragione che giustifichi la violenza; e la violenza è da condannare assieme alla condanna della guerra, di cui atti come questo confermano il potere devastante.

Affrontare questo tema può favorire la conoscenza del mondo militare, anche alla luce della presenza della Chiesa?

Conoscere la storia è sempre, direi, il primo atto pastorale, in qualunque realtà ci si trovi. La storia della guerra va oggi guardata dalla prospettiva dei militari italiani, uomini e donne seriamente impegnati a difendere la pace, a custodire e proteggere cittadini e stranieri, a intervenire in emergenze e calamità naturali, con una prontezza, un’organizzazione e una dedizione che danno atto dell’importanza della loro missione, come dimostrato anche nell’attuale pandemia. A questi uomini e donne, con le loro famiglie, si rivolge l’opera di assistenza spirituale, accompagnamento e formazione affidata alla nostra Chiesa, in particolare ai cappellani militari.

Perché l’Ordinariato ha tanto spinto per un’iniziativa in questa direzione?

Anzitutto per una questione di giustizia. Per la Dottrina sociale della Chiesa, ogni pena è tesa a «tutelare il bene comune» e rappresenta uno strumento di «difesa», «correzione» ed «espiazione », che lascia aperta la strada alla possibilità di una «giustizia riparatrice» del crimine. Basata su tali presupposti, la giustizia non può mai ledere la dignità della persona umana, come dimostra l’aumentata sensibilità del nostro tempo alla condanna della guerra e della stessa pena di morte.

Che valore educativo potrà assumere?

Il tema può avere una ricaduta educativa e pastorale, configurandosi come ulteriore segno di rifiuto della guerra e delle sue conseguenze, tra le quali proprio l’esercizio di una 'giustizia' sommaria e ingiusta, e assumendo un valore 'dimostrativo' e 'simbolico' analogo a quello che si intendeva attribuire alle fucilazioni ma attuato nella direzione opposta: ovvero nella logica di una società che condanna l’evento bellico con decisione e in tutti i modi, anche facendone memoria.

E proprio all’importanza di fare memoria saranno finalizzate le celebrazioni del 4 novembre per il centenario del Milite ignoto, data sottolineata anche dal presidente Mattarella.

«Ricordare e capire non vuol dire necessariamente assolvere e giustificare», affermava il Capo dello Stato in un messaggio inviato proprio a un Convegno sul tema dei fucilati nella Grande Guerra, svoltosi a Rovereto nel 2015; tuttavia, «la memoria di quei mille e più italiani uccisi dai plotoni di esecuzione - aggiungeva - interpella oggi la nostra coscienza di uomini liberi e il nostro senso di umanità». Ecco, credo che fare memoria sia necessario per educare la coscienza. Perché tutti, prima di tutto i giovani, possano cogliere in profondità il valore di una libertà acquistataci a caro prezzo anche da coloro che hanno creduto di dover lottare e combattere per ottenerla; una libertà che non va svalutata, svenduta, ma neppure rivenduta a nuovi totalitarismi ideologici che la ripropongono esclusivamente sotto il profilo del benessere personale o dell’autodeterminazione, arrivando in altro modo a offendere, violare, eliminare la vita altrui o la propria. Fare memoria è curare le radici nascoste e feconde del senso di umanità, da cui può germogliare la fraternità universale sognata da papa Francesco ma che rappresentano le radici profonde e forti della cultura dell’Europa e, in particolare, della nostra identità di popolo italiano. Un’identità che tutti, forse, dobbiamo un po’ recuperare, con orgogliosa speranza, sereno coraggio e luminosa memoria.

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