martedì 21 febbraio 2017
«Il pontefice non cela il timore che ormai non siamo più all’altezza della nostra storia Manchiamo della spinta universalistica che ci ha accompagnato per tutto il Novecento»
Andrea Riccardi (Siciliani/Cristian Gennari)

Andrea Riccardi (Siciliani/Cristian Gennari)

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Francesco è il primo papa non europeo dopo il primo millennio della storia della Chiesa. Vari papi, specie nei primi dieci secoli dell ’era cristiana, venivano dal Mediterraneo. Jorge Bergoglio è invece il primo, nato e vissuto fuori dall’Europa e dal Mediterraneo, nonostante le radici familiari – non così remote – lo rendano prossimo al Piemonte e all ’Italia. Jorge Bergoglio non ignora l’Europa, ma non la considera da europeo: anzi il suo punto di vista è esterno, ma non estraneo, al Vecchio Continente. Papa Bergoglio ha un’idea alta dell ’Europa, che è quella diffusa nella cultura argentina. Il papa non nasconde il timore che il continente ormai non sia più all’altezza della sua storia. È una preoccupazione prioritaria. La fine delle ideologie, con la loro capacità di sfida al pensiero e all ’azione, ha accresciuto la perdita di desiderio.

Paradossalmente, il marxismo è stato l’ultima grande visione del mondo maturata in Europa ed esportata fuori di essa. Dopo l ’’89, si è andati verso una postura sempre più introversa dell’Europa nel mondo, dovuta alla decadenza di grandi Paesi come la Francia, la Gran Bretagna, alle crisi italiane, ma anche all ’apporto dei Paesi dell ’Est che, storicamente, non hanno mai avuto una proiezione extraeuropea (né coloniale) e nemmeno paneuropea. L’Europa è vecchia. Sembra non avere più voglia di comunicare al mondo, né di contribuire al suo cambiamento. Sono cadute le grandi visioni, restano i «tecnicismi burocratici delle sue istituzioni » dice il papa (e non può non riferirsi al macchinoso funzionamento dell ’Unione): quest’atteggiamento, che può apparire anche corretto, porta alla «globalizzazione dell’indifferenza »: tema bergogliano lanciato a Lampedusa. Una linea coerente lega le scelte politiche europee ai comportamenti individuali dei suoi cittadini (la persona-monade «sempre più insensibile alle altre monadi attorno a sé»). In questo senso c’è una chiara distanza tra la prospettiva dell’Europa e quella del papato di Roma. Anche nel secolo appena trascorso non sono mancati i conflitti tra i Paesi europei e la Chiesa cattolica.

Oggi, più che di conflitti, si deve parlare di diversificazione di prospettive. Infatti, mentre l’Europa si ripiega, il papato prosegue sulla via di una prospettiva universale, non solo con l’internazionalizzazione delle sue strutture, ma con interessi e aperture a tante parti del mondo. La spinta universalistica del papato, nel Novecento, era stata accompagnata non solo dall’estroversione europea, ma dalla condivisione di tanti europei fattisi missionari nel mondo, che appoggiavano l’opera della Chiesa in tutte le latitudini o che condividevano le sue azioni e le sue visioni. Il papato ha accentuato la sua apertura, ma l’Europa e gli europei si ritrovano molto meno o per niente in questa linea. Il papa stimola il continente ad essere all’altezza della sua storia. Francesco ha un’idea importante della vocazione e delle risorse europee, ma anche del bisogno di Europa nel mondo. Vuole spingere a una nuova estroversione. Per Francesco le radici non sono qualcosa d’ipostatizzato o di metastorico. Radici vuol dire «memoria ». L’Europa non può capire se stessa, schiacciata sul presente o attraverso una serie di processi emotivi.

C’è la necessità di «fare memoria », di leggere in profondità la storia. In questo senso, grandi scelte e autentiche politiche nel continente non possono essere fatte senza misurarsi con la cultura storica. Eppure la politica europea, negli ultimi decenni, volta le spalle a un rapporto con la cultura storica. Anzi tante scelte recenti rivelano proprio una perdita di memoria, che genera comportamenti sociali disumani. Lo si vede oggi nella crisi delle periferie e di fronte al terrorismo: persone spaesate, senza memoria, sono disponibili non solo a comportamenti emozionali, ma a lasciarsi trascinare dai radicalismi. Questo vale anche per intere nazioni, senza memoria, talvolta in preda a populismi che rivendicano in maniera emotiva le radici e domandano «muri ». I cristiani devono aiutare la coscienza europea a non ripiegarsi.


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