mercoledì 17 marzo 2021
Di origini istriane, il sottufficiale si distinse per l’impegno nel salvare ebrei, partigiani e membri delle Forze Alleate. Un libro offre nuovi documenti sulla collaborazione con il grande parroco
Don Primo Mazzolari (1890-1959)

Don Primo Mazzolari (1890-1959) - Archivio

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Sul filo dei ricordi tornano i volti dei congiunti: nonni e nonne, genitori, zii e zie. Istriani da generazioni e sino al 1918 sudditi leali di Francesco Giuseppe. Rientrati alla propria terra dopo l’allontanamento per la Grande Guerra. Quelli scampati alla 'spagnola' per fare i conti con il fascismo e la sua ottusa politica su questa marca di confine. Con Mussolini capace di tutto pur di allontanare la gente di etnia slava: una sorta di 'bonifica etnica' dell’Istria e della costa dalmata. Poi arrivò il secondo conflitto mondiale. E poi ci furono le conseguenze dell’occupazione istriana da parte di Tito. Con un popolo sradicato, costretto ad un esodo forzato, poi capace di custodire la sua identità nella diaspora dopo aver conosciuto fascismo e comunismo… Ci sono dolorosi pezzi di ’900 e commoventi capitoli di una saga familiare nel libro Antonio Sartori. Il maresciallo di don Primo (Mazziana, pagine 158, euro 15). Pagine che l’autore – Lorenzo Sartori, medico in pensione – per condividere con figlia e nipote una memoria da continuare a trasmettere, ha tessuto rielaborandola in modo intenso. Cucendo – non senza pezze documentali – i racconti della madre Giorgia e le testimonianze raccolte dal padre Antonio (1904-1989), ricostruendone la biografia e il rapporto di amicizia con don Primo Mazzolari.

Sì perché – dopo essere entrato diciottenne nell’Arma dei Carabinieri e aver italianizzato il cognome slavo (quello originario, Saric, nell’Italia del Duce induceva a sospetti di simpatie verso il regime sovietico), dopo diverse esperienze nella Benemerita (nei Servizi Speciali a supporto del lavoro diplomatico, ai giri di boa per la campagna d’Africa dal ’36 al ’39, quindi nei Balcani dove l’esercito greco, supportato dall’aviazione inglese, teneva inchiodata l’avanzata italiana), nel 1943 era stato assegnato come maresciallo alla stazione di Bozzolo. E qui l’incontro con il famoso parroco si tradusse subito in una collaborazione nella Resistenza. Con i due impegnati a sottrarre ai nazifascisti il maggior numero di ebrei, partigiani e collaboratori delle Forze Alleate. Una cooperazione fra canonica e caserma – terminali di informazioni delicate – andata avanti fra incontri notturni o informazioni trasmesse grazie alla moglie prima della messa, senza però evitare sospetti crescenti e controlli sempre più serrati, premesse dell’arresto di parroco e maresciallo nell’estate del ’44. La situazione particolarmente complicata in paese per il rinforzo della milizia con la famigerata Brigata Pesaro era precipitata nell’aprile precedente a seguito di un tentativo di sabotaggio del ponte da parte dei partigiani. «La risposta delle SS non si fece attendere e fu particolarmente pesante con rappresaglie, arresti e condanne seguite da esecuzioni sommarie.

All’alba di un giorno di metà aprile si concentrarono in Bozzolo quattro squadre di tedeschi su tre camion. Un camion si diresse verso la parrocchia, uno si piazzò al centro del paese e l’ultimo si diresse alla stazione dei carabinieri…», spiega qui Sartori. Che poi descrive la deportazione del padre nel campo di concentramento di Warnemünde sul Baltico, lager dal quale – liberato dai sovietici – riuscirà a rientrare in Italia alla fine della guerra. Così il Maresciallo Sartori nel ’47 potrà essere riassegnato alla guida di una stazione dei Carabinieri, a Pescantina, dove si trasferì con la famiglia e si ricongiunse anche con i suoceri nel frattempo sopravvissuti alle violenze titine. Non troppo lontano da Bozzolo e in ogni caso sempre legato a don Primo che in una inedita testimonianza resa alla fine del ’45 per l’amico maresciallo ne aveva additato gli esempi di collaborazione. Scrivendo di lui come di un «sottufficiale serio, intelligente, istruito, dignitoso », «prezioso elemento nel lavoro clandestino », che era riuscito «con tatto ed energia a fermare rappresaglie e a sventare insidie». Scrive Lorenzo Sartori nel suo libro che la relazione del padre con Mazzolari durò sino alla morte del grande parroco nel ’59. E rammenta che «quando il lavoro e gli impegni reciproci lo consentivano, Antonio caricava la famiglia sulla Topolino e la portava a Bozzolo, in visita a don Primo, in un clima di dignitosa affabilità. E il sacerdote sempre lo gratificava di qualche suo scritto».

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