giovedì 9 dicembre 2021
Un saggio ripercorre il viaggio immaginario di Dante e quello reale di Marco Polo in Oriente come due volti di un secolo, il Trecento, affascinato dai mondi sconosciuti
"Arrivo dei fratelli Polo a Hormuz", miniatura tratta da un codice del XIV secolo del “Milione”. Parigi, Biblioteca Nazionale

"Arrivo dei fratelli Polo a Hormuz", miniatura tratta da un codice del XIV secolo del “Milione”. Parigi, Biblioteca Nazionale - Fototeca

COMMENTA E CONDIVIDI

Dante Alighieri ben conosceva un lungo poema scritto fra il IX e il X secolo che ebbe grande diffusione nel Medioevo, la Navigazione di san Brandano; descriveva il viaggio, in parte reale in parte immaginario, di un anziano monaco irlandese nel nord dell’Atlantico. Vissuto fra V e VI secolo, il monaco viaggiatore dall’Irlanda – ove fondò decine di monasteri – irradiò il messaggio cristiano nel nord Europa, raggiungendo le Isole Ebridi, il Galles, la Britannia e, sembra, persino le Fær Øer. È azzardato invece affermare che sarebbe approdato alle coste del Labrador. Sulle sue orme, e quelle di san Colombano, i monaci irlandesi approdarono in Islanda due secoli dopo e furono i primi a insediarvisi seguendo il loro sogno di anacoreti di trovare un “deserto nell’oceano”; con tutta probabilità, l’isola descritta da san Brandano «in cui è l’inferno» è direttamente ispirata allo spettacolo sorprendente delle isole vulcaniche islandesi. Nel suo viaggio verso Occidente dal profondo contenuto mitico e simbolico Brandano si pone come precursore di Dante. Al tempo della Commedia dantesca, il cosmo e l’aldilà erano come conosciuti a priori, disegnati in una configurazione precisa e armonica. Tutto quanto si scopriva di nuovo non era che la conferma di un piano divino. Di qui anche possibili incomprensioni, come accadde a Marco Polo che scambiò un rinoceronte per un unicorno. Il viaggio che secoli dopo Colombo avrebbe compiuto verso il Nuovo Mondo diventa invece la chiave di volta con cui scardinare questa visione della realtà, ancorata alla dimensione del sacro, per approdare ad una ridefinizione dell’universo conosciuto. La “geografia teologica” del Medioevo perderà colpi con le scoperte d’epoca rinascimentale, simbolo di un Occidente che non sopporta più di stare in se stesso, che inizia a dar vita alla sua dominazione sul mondo e che spezza radicalmente il legame con l’aldilà. L’uomo non contempla più la realtà, la trasforma. Il viaggio immaginario di Dante e quello reale di Marco Polo, più o meno contemporanei, sono rivissuti in un saggio curioso appena pubblicato dalle edizioni Dedalo col titolo Tra cielo e terra (pagine 268, euro 17). Ne sono autori uno scienziato, Giuseppe Mussardo, che insegna Fisica teorica alla Scuola superiore di studi avanzati di Trieste, e un filosofo, Gaspare Polizzi, docente di Pedagogia generale e sociale all’Università di Pisa. I due studiosi vedono la Divina Commedia e Il Milione come due facce della stessa medaglia, espressioni mirabili di un secolo, il Trecento, che si confronta con l’ignoto, che sia il mondo ultraterreno o l’Oriente allora in gran parte sconosciuto in Europa. Una leggenda fra l’altro vuole che i due viaggiatori si siano incontrati a Verona nel 1313: Dante lì si trovava dopo dieci anni d’esilio da Firenze ed era ospitato dalla corte di Cangrande della Scala. Al di là di questa fantastica possibilità, restano le straordinarie avventure da loro narrate, che i due studiosi sviscerano confrontandosi con le interpretazioni teologiche, letterarie e scientifiche che ne sono state date nei secoli successivi. E anche con gli scenari disegnati dai loro predecessori, dai viaggi nell’aldilà di stampo classico o biblico alle missioni diplomatiche realizzate prima dell’avventura del mercante veneziano. Tante domande emergono da questo studio davvero stimolante. Come l’evangelizzazione dell’Oriente, che nel corso dei secoli ha spronato decine e decine di missionari. Lungo la via della seta, domenicani, francescani e gesuiti soprattutto sono riusciti a penetrare fino in Estremo Oriente, senza però mai essere in grado di impiantare il cristianesimo con reale efficacia. Si conoscono i tentativi dei nestoriani nel VII secolo, dei frati minori nel Trecento (da Giovanni da Pian del Carpine a Giovanni da Montecorvino) e in seguito dei gesuiti. Tutti respinti da una civiltà, quella cinese, che mal tollerava nuove religioni: unica in qualche modo stabile eccezione proprio il periodo della pax mongolica descritta da Marco Polo. Un’epoca che fece sognare la realizzazione di un grande impero cristiano – cui si riferisce la famosa “Lettera del Prete Gianni” – capace di contenere l’offensiva musulmana in Asia ed Europa. Quell’antico confronto fra cristianesimo e Oriente sembra ora riproporsi con la stessa urgenza del passato, cui si aggiunge la sfida che il potere di seduzione delle religioni orientali suscita sempre più nel mondo occidentale: sapranno i “nuovi viaggiatori della fede” vincere la scommessa della conversione dell’Asia?

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI