venerdì 7 gennaio 2022
Nel nuovo romanzo “Annientare” lo scrittore francese resta radicalmente cupo ma, in modo più trasparente che in precedenza, appare altrettanto radicalmente morale e aperto allo spirituale
Lo scrittore francese Michel Houellebecq

Lo scrittore francese Michel Houellebecq - Ansa/Epa/Javier Etxezarreta

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Di questo – nei limiti delle mie conoscenze – mi sento quasi sicuro: che, tra tutti gli scrittori europei in attività, Michel Houellebecq sia quello che è stato (e continua a essere) in maggiore sintonia coi suoi tempi. Se poi sia condannato a eclissarsi insieme ai tempi che ha così lucidamente rappresentato, o al contrario, come accadde a Balzac (nell’interpretazione che del grande francese diede Gyórgy Lukàcs), sia destinato invece a durare proprio per averli restituiti meglio e più tempestivamente di tutti i suoi contemporanei, queste sono domande a cui ora non saprei davvero rispondere.

A confermare questa sintonia coi suoi (e nostri) tempi, arriva oggi in libreria per La nave di Teseo (in esatta corrispondenza con l’edizione francese) il suo ultimo libro, Annientare (pagine 758, euro 23,00). Diciamolo subito e chiaro: si tratta d’un romanzo magma (quello appunto della nostra contemporaneità). Ci troviamo a cavallo tra il 2026 e il 2027, a ridosso delle imminenti lezioni presidenziali (il candidato del partito di governo è un uomo di spettacolo, Benjamin Sarfati: «proveniva dalle sfere più basse dell’intrattenimento televisivo ») e in concomitanza di attacchi terroristici che da informatici diventano reali, culminando nel massacro di circa cinquecento migranti africani opportunamente annunciato su Internet.

Ma anche d’un romanzo anagrafe: folto com’è di personaggi. A cominciare dall’affascinante ministro dell’economia, Bruno Juge, «probabilmente (…) il più grande ministro dell’Economia dai tempi di Colbert» (che come Colbert, nei momenti di entusiasmo, «si fregava le mani»). Paul Raison, alto funzionario dello Stato che viene dall’«ENA, la Scuola nazionale di amministrazione», fa parte del gabinetto del ministro ma è anche suo amico e confidente. Proprio le vicende private e allargate della famiglia Raison, seguite parallelamente a quelle pubbliche, dipanano i fili dell’aggrovigliata matassa di cui questo avvincente romanzo si compone.

Cito solo i membri principali. Prudence (oh i Beatles!), «funzionaria della direzione del Tesoro», la moglie di Paul, col quale vive un iniziale e sempre più doloroso disaccordo sino allo struggente ricongiungimento finale, in concomitanza con la malattia di lui: vegana e seguace new age della wicca, declinata in chiave femminista, «una nuova religione che si stava diffondendo rapidamente negli ultimi tempi, soprattutto nei paesi anglosassoni». La sorella e il fratello di Paul: la fanatica Cécile, sposata con il notaio Hervé, entrambi vicini «al movimento di ultradestra Civitas,» e Aurélien, andato via presto di casa e morto suicida, il quale aveva vissuto cercando «non tanto di partecipare, quanto di sottrarsi al mondo». Aurélien, ripeto: sposato a Indy, una giornalista progressista, ipocrita e opportunista, che lo disprezzava e che aveva «deciso di ricorrere alla procreazione assistita perché suo marito era sterile».

Tre figli molto lontani l’uno dall’altro, insomma, che si raccolgono attorno al capezzale del patriarca morente, Édouard Raison: un uomo imponente, «molto buono in partenza, un po’ logorato e indurito dal lavoro nei servizi segreti», colpito da un ictus e finito in coma, assistito devotamente dalla propria compagna, ovvero Madeleine, collaboratrice domestica di cui, a 65 anni, si era innamorato.

Ho citato poco fa Balzac: a sottolineare anche la disposizione da sempre realistica (e sociale) di Houellebecq. Se stiamo a tutto ciò che lo scrittore ha pubblicato sino a Serotonina (2019), e pensando anche a un altro grande francese altrettanto rappresentativo dello spirito del tempo, ovvero Jean-Paul Sartre, non si può non osservare che, se per quest’ultimo (il drammaturgo di A porte chiuse, pubblicato nel 1944, per intenderci), l’inferno erano “gli altri”, per Houellebecq l’inferno sarebbe diventato tutta la realtà, proprio perché anche l’io (soprattutto l’io) è “gli altri”.

In Annientare però – ecco la grande novità – la realtà diventa finalmente e integralmente sé stessa, tale cioè da inglobare anche il bene: non c’è niente di più irreale, in effetti, e di più irrealistico, d’un romanzo che ci restituisca un mondo in cui il bene è stato totalmente bandito, persino come scintilla o anelito, qui invece teneramente testimoniato dall’amore coniugale ritrovato e terminale tra Paul e Prudence.

La domanda a questo punto non può essere più elusa: ma che realismo è questo di Houellebecq? Una domanda, aggiungo, che trova una risposta proprio là dove meno te la aspetti, e cioè nei ringraziamenti: «Se alcuni fatti sono inaccurati, non è dovuto solo a eventuali errori da parte mia, ma soprattutto a distorsioni volontarie della realtà. Dopotutto questo è un romanzo, la realtà è solo un materiale di partenza». Già: «dopotutto». Ma perché, per mantenere la propria vocazione di romanziere realistico, Houellebecq ritiene necessario sottoporre la realtà a una distorsione volontaria? E che cosa è una distorsione volontaria della realtà? Credo si possa rispondere così: la distorsione volontaria della realtà è quella che gli consente il passaggio da un realismo ingenuo a un realismo, diciamo così, critico: un realismo, cioè, che non si accontenta di rappresentare mimeticamente la realtà ma, nel mentre ce la restituisce, involge anche un giudizio morale: fateci caso, i personaggi non sono tutti eticamente eguali e in linea di massima, con qualche clamorosa eccezione, le donne sono migliori degli uomini.

Come ogni autentico romanziere Houellebecq non è moralista, ma resta uno scrittore profondamente morale: la realtà in effetti non è mai materia inerte, ma viene lavorata in vista d’un giudizio che consenta sempre alle lettrici e ai lettori di distinguere il bene dal male. Diciamolo: il continuo riferimento a una dimensione spirituale della vita, fosse pure attraverso certe ingenue e imbarazzanti declinazioni neopagane (d’una ingenuità che è dei personaggi, non dello scrittore), aprono un varco inaspettato nel cuore nero del suo nichilismo.

Nel nuovo romanzo “Annientare” lo scrittore francese resta radicalmente cupo ma, in modo più trasparente che in precedenza, appare altrettanto radicalmente morale e aperto alla possibilità dello spirituale Michel Houellebecq al Festival di San Sebastián nel 2019 / EPA/Javier Etxezarreta Thorsten Brinkmann, “Della Peaky”, 2021. L’opera è esposta della mostra MY30YEARS alla Galleria Fumagalli di Milano, fino al 4 febbraio / ©Thorsten Brinkmann & VG Bildkunst 2021, Bonn. Courtesy Galleria Fumagalli

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