martedì 28 dicembre 2021
Le prime liriche dello scrittore della meravigliosa stagione della “Giovane Vienna”: un’arte raffinata che nella ricerca della bellezza esprime una richiesta di verità, un anelito verso l’utopia
Hugo von Hofmannsthal (1º febbraio 1874-15 luglio 1929)

Hugo von Hofmannsthal (1º febbraio 1874-15 luglio 1929) - archivio

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«Potremmo entrare in un nuovo significante rapporto con tutto il creato, se cominciassimo a pensare col cuore». Questo motto di Hofmannsthal apre emblematicamente la nuova raccolta delle sue liriche giovanili, Nel centro di ogni cosa. Poesie giovanili 1890-1910 a cura di Andrea Landolfi per l’editore Del Vecchio (euro 19,00). Il poeta, specie nella sua prima attività, è stato un artista attentissimo alla forma, che raggiunge quell’eleganza di suoni, di metafore, di analogie che connota la meravigliosa stagione della “Giovane Vienna”, che possiamo cogliere nel movimento della Secessione viennese con Gustav Klimt, Richard Gerstl, Koloman Moser, Otto Wagner (su Klimt in questo periodo è allestiata una mostra al Museo di Roma, aperta fino al 27 marzo). Nella totale libertà e indipendenza delle ricerche affiora un’esperienza artistica organica che crea uno stile inconfondibilmente unitario. E proprio l’itinerario di Hofmannsthal conferma la scelta antinaturalista dei giovani viennesi. La capitale austriaca si pone in antitesi alle correnti che dominano l’attività teatrale e letteraria di Berlino. Nei Caffè e negli atelier di Vienna sorge un’arte raffinata, elegante, che nella ricerca della bellezza esprime una richiesta di verità, un anelito verso l’utopia. Il giovanissimo Hugo von Hofmannsthal incontra proprio al mitico Café Griensteidl (oggi miseramente trasformato in un supermarket) gli altri alleati di questa stagione intensa e meravigliosa. La sua lirica giovanile è connotata da una inimitabile eleganza stilistica che dà voce a un’alternativa a un’arte soverchiamente intrecciata alla società e al quotidiano. Questa esperienza lirica del giovane Hofmannsthal percorre velocemente tutte le sue possibilità espressive per giungere alla soglia maestosa e tremenda del silenzio con la crisi del linguaggio, ormai estenuato da soverchia raffinatezza. Il poeta esprime il tormento di questa situazione estrema nella celebre Let- tera di Lord Chandos del 1902, che anticipa tutte le poetiche e peregrinazioni delle avanguardie per superare lo scacco del realismo. Nel 1904 sorge l’espressionismo, seguito dal futurismo e successivamente dal dadaismo, dall’astrattismo, dalla pittura metafisica. La Lettera è per Hofmannsthal un sofferto congedo dai vertici della sua sublime lirica giovanile, tradotta ora con sicura capacità empatica da Andrea Landolfi, che da anni si confronta con l’opera del viennese. Sempre per l’editore Del Vecchio aveva pubblicato nel 2019 una nuova traduzione di Andrea o i riuniti, il romanzo incompiuto dell’autore. Questa volta la scelta operata da Landolfi è per le liriche, quelle accettate e pubblicare dall’autore, evitando ogni «diffusione più o meno “sensazionalistica” dell’inedito». Quasi contemporaneamente alla Lettera Hofmannsthal scrive nel 1900, per una compagnia teatrale di studenti berlinesi, il Prologo alla “Antigone” di Sofocle che possiamo considerare un inedito e che ci comunica la stessa crisi mistica che lo aveva così sconvolto da segnare una svolta irreversibile nella sua attività di scrittore che da lirico puro proseguì prevalentemen- te impegnandosi nella saggistica culturale e nella scrittura teatrale con drammi legati alla dissoluzione del “mondo di ieri”, dell’Austria asburgica, nonché a libretti d’opera – i più famosi sono Elettra e Il Cavaliere della Rosa – nati dalla stupenda simbiosi con Richard Strauss, che costituiscono un grande contributo alla cultura austriaca, eppure la tensione del Prologo e della Lettera sono momenti unici, quelli raggiunti dalla prospettiva del “pensare col cuore”, inteso come dimensione mistica unitaria al di là della dialettica della ragione. Ci sono testi parimenti intensi come conferma la singolare lirica del 1897 L’Imperatore della Cina, con un mirabile incipit «Qui nel centro d’ogni cosa / me ne sto, Figlio del Cielo». Si annuncia la metafora “cinese” che ebbe molto successo nella letteratura tedesca: nel 1918 Kafka pubblica Un messaggio dell’Imperatore, con l’inquietante visione finale del-l’attesa: «Ma tu stai alla finestra e ne sogni, quando giunge la sera ». Il tema “cinese” è insistente come conferma l’altra “favola” kafkiana Durante la costruzione della muraglia cinese. La metafora continuò fino a coinvolgere scrittori assai lontani dal “centro d’ogni cosa” come Bertolt Brecht di un’altra “favola”, il dramma L’anima buona di Sezuan. La “Cina” prosegue nel brechtiano breviario di saggezza “confuciana” Me-Ti. Libro delle svolte a dimostrazione che Hofmannsthal aveva intuito un’esperienza di pace silenziosa lontana dall’agitazione “occidentale”. Questa nostalgia di una vicinanza a un centro, anzi al “centro di ogni cosa” l’avvertiamo in un’altra poesia giovanile di Hofmannsthal del 1896, Sogno di una grande magia, con un’invocazione al Cherub, alle gerarchie celesti, che anticipa l’Angelo rilkiano delle Elegie di Duino( 1912-22). Hofmannsthal ne parla come di un’annunciazione mistica, scritta di getto: «in un’aula, su un banco, durante l’addestramento dei sottufficiali » a dimostrazione che lo Spirito soffia dove vuole, perfino in caserma: «Angelo il nostro spirito e signore / non vive in noi, il suo seggio è tra le stelle, / e orfani ci lascia abbandonati: / eppure è lui che ci arde nel profondo / -così sentii quando incontrai quel sogno – / e col suo fuoco parla alle distanze. / E vive in me, com’io nella mia mano». Il poeta era maturo per una sublime intuizione, quella del pensiero del cuore.

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