mercoledì 3 maggio 2017
Coppi sognava di diventare come Ganna e Girardengo, Binda, Guerra che fu la prima maglia rosa. E anche Bartali. E lo stesso fecero Gimondi, Moser, Saronni, Pantani... fino a Scarponi
Eddy Merckx in rosa seguito da Felice Gimondi

Eddy Merckx in rosa seguito da Felice Gimondi

COMMENTA E CONDIVIDI

Un sogno. Cos’altro è il Giro d’Italia se non un sogno? Il desiderio più dolce e profondo di ripercorrere strade, di scalare montagne, di confrontarsi o perlomeno avvicinarsi ai miti di uno sport che mai è stato soltanto competizione. Un sogno. Quello di diventare un giorno Gimondi o perlomeno avvicinarlo. Come in quel lontano 1976, quando chiedo ai miei genitori una bicicletta da corsa - la prima della mia vita - come regalo dopo l’esame di terza media, oltre che la possibilità di vedere dal vivo il grande Felice in piazza Duomo, per il suo terzo e ultimo trionfo rosa. In verità i primi racconti sono su Fausto Coppi, coscritto di mio papà, che nonostante fosse toscano fa il tifo per quell’«osso di prosciutto di montagna». Anche Coppi sognava. Di diventare un giorno come Ganna e Girardengo, Binda e Guerra. E anche Bartali. E lo stesso Gimondi, che sognava tutti questi miti del pedale, oltre a Magni e Gaul, Baldini e Anquetil. Ma cosa devono aver sognato i primi “forzati della strada”, che decisero in quella notte del 1909 di affrontare per la prima volta nella storia il Giro d’Italia in bicicletta? Cosa deve aver spinto Luigi Ganna, il “magutt”, il muratore di Induno Olona, quello del «Me brüsa tanto el cü», a sfacchinare per otto giorni su e giù per l’Italia? Certo, anche e soprattutto quelle 25.000 lire di montepremi. Ma anche lui si è messo in viaggio, si è messo in gioco per un sogno: quello del riscatto. Da Ganna a Girardengo, il primo campionissimo del ciclismo con la “c” rigorosamente minuscola. Corre per quasi un quarto di secolo: dal 1912 al 1936. Vince 2 Giri d’Italia, 6 Milano-Sanremo. Girardengo-Binda: la prima vera rivalità del ciclismo. Il vecchio e il bambino. L’Omino di Novi e il trombettiere di Cittiglio. Non è un caso che “il” Binda si aggiudichi il Giro d’Italia al suo primo assalto, nel 1925 e inanellando così la prima di cinque vittorie. Binda è quello del «ghe voeren i garùn» (ci vogliono le gambe). Ma anche quello che viene invitato a restarsene a casa, con tanto di premio come se avesse vinto (22.500 lire, ndr), per manifesta superiorità: è il 1930.

Poi c’è Guerra, che nel ’31 veste la prima maglia rosa della storia, ma il Giro lo vincerà solo nel ’34. Il ciclismo è una ruota che gira. Anche Binda, da uomo imbattibile, comincia a battere in testa e Bartali ne approfitta per ingaggiare i suoi duelli con Guerra. Gino Bartali infiamma l’Italia e poi la divide, solo dopo aver lanciato e aver lasciato Coppi. Gino il Pio vince tre Giri d’Italia, due Tour de France. E poi arriva Coppi, che spicca il volo sull’Abetone: è il 1940. È il giorno in cui Fausto si trasforma da garzone a corridore. Da gregario a campione. Da uno dei tanti a uno che sa fare cose uniche. Da numero a cognome, per poi diventare nome e cognome. Infine superlativo. E avanti con “il terzo uomo”, Fiorenzo Magni, dotato d’intelligenza e tenacia fuori dal comune, che seppe vincere tre Giri nonostante “quei due là”. Ed ecco profilarsi l’esile sagoma dell’angelo della montagna, Charly Gaul. E dopo di lui il fragore di Ercole Baldini, l’illusione di Motta, prima della resistenza di un indomito Felice Gimondi. Sì, sempre lui, il grande Felice da Sedrina che lotta come nessuno, per contrastare lui: Eddy Merckx. Felice vince tutto: un Tour, tre Giri e una Vuelta. Mondiale e classiche. Vince nonostante il Cannibale, sempre famelico e per questo mai sazio. Con Gimondi, però, che trova anche lui pane per i suoi denti: sfida sublime. Dopo di loro, l’ultimo grande duello che il ciclismo ricordi: Moser contro Saronni. L’attaccante contro l’attaccato, nel senso che il lombardo resta spesso a ruota del trentino, per poi superarlo in volata. Avrebbero anche potuto vincere di più (un Giro Moser, due Saronni, ndr) , se per tre volte tre non si fosse presentato al via della corsa rosa un bretone tosto e tenace di nome Bernard Hinault: l’ultimo dei grandi. E via veloci verso gli anni di Bugno e Chiappucci: non rivalità, ma solo sfida. Talento contro volontà. Se solo Gianni avesse avuto la testa di Claudio avremmo avuto un nuovo Eddy Merckx. Poi Indurain e Simoni, Savoldelli e Contador. Anche il povero Michele Scarponi che un Giro lo vince a tavolino (nel 2011) per la squalifica al Tour del fuoriclasse madrileno. Poi Cunego e Garzelli, ma soprattutto Marco Pantani: il “Pirata”. Il Grande Pelato che sa volare solo in alto, prima di precipitare negli abissi. Infine Nibali, che si appresta quest’anno a sfidare il colombiano Nairo Quintana, gran favorito della “corsa rosa”. La statistica parla di due Giri per il siciliano, uno per il colombiano. Ma Vincenzo non ha Michele. Purtroppo Michele Scarponi non ce l’ha più nessuno, neanche sua moglie Anna e i piccoli Tommaso e Giacomo.
Negli occhi ho ancora le immagini del Giro di un anno fa, quando Scarponi giù dall’Agnello si ferma ad aspettare il capitano per aiutarlo a spiccare il volo verso Risoul. È l’immagine dell’uomo solo al comando che rinuncia a una sua vittoria di tappa, per gioire del trionfo di Vincenzo al Giro. È la storia di una rinuncia, la stessa che deve vivere quest’anno Vincenzo. E noi con lui.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: