domenica 4 luglio 2021
A colloquio con Kristina Landa: «Stalin ne promosse una lettura ideologica facendone un classico di riferimento»
Josef Brodskij, "Ritratto di Stalin" (1933)

Josef Brodskij, "Ritratto di Stalin" (1933) - archivio

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Celebrazioni di rito a parte, la ricorrenza dei 700 anni dalla morte di Dante Alighieri ha il merito di aver determinato una vivace fioritura di studi e di approfondimenti critici. Kristina Landa, giovane ricercatrice presso il Dipartimento di Interpretazione e traduzione dell’Università di Bologna, ha messo in cantiere un’indagine ad ampio raggio della ricezione dell’opera dantesca nel Novecento in Russia: il che significa, sostanzialmente, in Unione Sovietica. La studiosa ha anticipato alcuni risultati del suo lavoro (di prossima pubblicazione su una rivista russa) in una tavola rotonda su 'Dante e le sue traduzioni' coordinata da Raffaella Baccolini il 21 maggio nell’ambito della rassegna forlivese 'Nel nome di Dante', promossa dall’Adi (Associazione degli Italianisti). Il titolo dell’intervento di Kristina Landa era molto curioso: Dante e Stalin.

Professoressa Landa, che tipo di ricezione ha incontrato Dante in Unione Sovietica?

Dopo che nel XIX secolo, e soprattutto nella sua seconda metà, la Divina Commedia era stata tradotta integralmente in Russia, con la rivoluzione bolscevica del 1917 la diffusione di Dante subì inizialmente una battuta d’arresto. Per tutti gli anni ’20 faceva problema la dimensione religiosa dell’opera dantesca.

E dopo che cosa succede?

Negli anni ’30 le cose cambiano. Una casa editrice, Academia, prova con maggiore convinzione a favorire la pubblicazione dell’opera dantesca. Si trova finalmente una giustificazione ideologica: di Dante viene sottolineato il profondo valore sociale e l’atteggiamento 'anticlericale' con riferimento alla sua lotta contro il potere temporale della Chiesa. Dante viene letto come un autore 'progressista'. L’endorsement, per così dire, viene niente meno che da uno dei padri nobili del comunismo, Friedrich Engels, di cui si cita, a mo’ di giustificazione, il seguente giudizio: 'Dante è una figura colossale, è l’ultimo poeta del Medio Evo e il primo del Rinascimento'. E se lo dice Engels, nessuno può contestarlo.

Neppure Stalin, è così?

No, neppure lui. Non abbiamo dichiarazioni di Stalin su Dante o sulla sua opera, ma abbiamo pronunciamenti molto positivi di diversi letterati del suo entourage: segno che lui era d’accordo. È un dato di fatto che una nuova traduzione della Divina Commedia viene realizzata, dalla casa editrice Goslitizdat, proprio dopo l’ascesa al potere di Stalin, negli anni ’30. E che il traduttore, Michail Lozinskij, riceve nel 1946 il prestigiosissimo 'Premio Stalin'. Possiamo dire perciò che Dante è uno dei grandi classici dell’olimpo della cultura staliniana.

Come possiamo spiegare le ragioni di questo cambiamento?

Negli anni ’30 Stalin lavora alla nascita della nuova società sovietica, e vuole costruirla su basi non solo economiche ma anche culturali. A tal fine servono dei modelli, delle auctoritates, e alcuni grandi classici che possano costituire una sorta di costellazione ideale in grado di nobilitare dal punto di vista letterario e filosofico lo Stato sovietico. I russi, certo: Puškin, Lermontov, Tosltoj, lo stesso Gor´kij. Ma anche gli europei: Shakespeare, Voltaire e Dante, appunto.

Ma al di là delle edizioni realizzate dell’opera di Dante, la Divina Commedia era realmente letta dai russi?

Assolutamente sì. Era un’opera apprezzata e amata. Anche perché l’opera di 'educazione' culturale del proletariato messa in atto dallo Stato sovietico attraverso le sue varie iniziative, dai circoli operai alle biblioteche popolari, stava dando i suoi frutti; e la domanda di libri, compresi i classici, era cresciuta notevolmente.

E oggi? Qual è la presenza di Dante in Russia?

Gli studi accademici danteschi sono praticamente fermi da più di un cinquantennio. Tuttavia a un livello più generale Dante viene ancora letto, forse non come in passato, ma c’è un pubblico di persone colte molto interessate alla Commedia.

Che cosa si apprezza dell’opera dantesca?

Direi soprattutto tre cose, di cui evidentemente si sente il bisogno: il percorso di ricerca spirituale, la tensione etica, la passione per la giustizia.

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