giovedì 15 giugno 2017
In vista del pellegrinaggio di papa Francesco sulla tomba del priore di Barbiana, esce una nuova edizione delle «Lettere». Sulla loro attualità a confronto l'editore Pucci e lo storico Tanzarella
Don Milani, lo spirito preso alla lettera
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Martedì 20 giugno 2017 papa Francesco si recherà in pellegrinaggio a Bozzolo (provincia di Mantova e diocesi di Cremona) e a Barbiana (provincia e diocesi di Firenze), per pregare sulle tombe di don Primo Mazzolari e di don Lorenzo Milani. La visita, in forma privata, toccherà prima Bozzolo, dove il Santo Padre sarà accolto dal vescovo di Cremona Antonio Napolioni, e poi Barbiana, dove sarà atteso dall’arcivescovo di Firenze, Giuseppe Betori.

Sui banchi di scuola oppure sul tavolo degli studiosi, al sicuro nella penombra delle biblioteche o esposti in piena luce nel tumulto della militanza: qual è oggi il posto più adatto per gli scritti di don Lorenzo Milani? Una soluzione non dovrebbe escludere l’altra, almeno in via di principio, ma in questi giorni ricchi di eventi e di ricorrenze intrecciati gli uni con le altre, può anche accadere che la domanda sul dissidio tra spirito e lettera torni a riproporsi e a richiedere una certa attenzione. Il 26 giugno, com’è noto, ricorre il cinquantesimo anniversario della morte del priore di Barbiana, quello della prima pubblicazione di Lettera a una professoressa è da poco trascorso e il viaggio di papa Francesco nelle terre di Mazzolari e Milani ormai imminente. Comprensibile che, in una congiuntura come questa, in libreria ci sia un certo fermento. Sì, ma in quale direzione?

Un buon esempio di attualizzazione ragionata è fornito da Don Milani. Parole per timidi e disobbedienti di Andrea Schiavon (add, pagine 192, euro 13,00), resoconto di una passione che ha portato l’autore a riproporre i testi del priore, primo fra tutti la cruciale Lettera alla professoressa, in tante scuole italiane. Il libro racconta quegli incontri e, insieme, ricostruisce il personale incontro di Schiavon con gli scritti milaniani, con esiti alterni ma comunque interessanti. Uno dei brani più gustosi è quello in cui Schiavon, di professione giornalista sportivo, ragiona sulla celebre frase in cui don Milani sostiene che saper leggere la Gazzetta dello Sport non significa necessariamente saper leggere. Ma si capisce che ormai il tema del contendere non è più questo.

Se di qualcosa si parla, pro o contro, è del duplice “Meridiano” Mondadori contenente Tutte le opere milaniane. Troppo costoso, lamentano alcuni, e troppo imbellettato, fatalmente lontano dalla brusca concretezza di don Milani. A pensarla così è in particolare Giannozzo Pucci, dal 2004 alla guida della Libreria Editrice Fiorentina, la piccola casa editrice alla quale fu a suo tempo affidata la pubblicazione di Esperienze pastorali e di Lettera a una professoressa. Su quest’ultimo titolo (appema riproposto anche negli “Oscar” Mondadori) Pucci continua a rivendicare una sorta di prelazione morale, ribadita di recente dalla curatela di un volumetto del tutto simile alla prima edizione di Lettera a una professoressa: stessi caratteri, stessa impaginazione, stesso utilizzo dei titoletti a margine dei paragrafi. «L’aspetto grafico è parte integrante dell’opera così come don Milani l’aveva immaginata e voluta», spiega Pucci. Un invito a organizzarsi (Lef, pagine 104, euro 9,00) riunisce dunque contributi molto diversi tra loro, dalla riflessione di Eraldo Affinati sul valore dell’apprendimento manuale fino all’intervento, apparso postumo, di Tullio De Mauro, che mette in guardia dalla tendenza a fare di don Milani «soltanto un sostenitore delle scuole parentali». Figura a sua volta irrequieta e anticonvenzionale, discendente di una delle più antiche famiglie fiorentine e legato in maniera fortissima all’esperienza di figure quali Giuseppe Lanza del Vasto e il pensatore Ivan Illich (entrambi presenti nel catalogo della Lef), Pucci insiste sulla nozione di «scuola civica», sostenuta ma non gestita dallo Stato. «Di don Milani non va dispersa la lezione principale – dice – che è quella del ripensamento della società secondo valori e categorie non borghesi. Io stesso ho impiegato molto tempo per comprendere che don Milani non proponeva un’alternativa. Al contrario, l’alternativa è rappresentata dal sistema borghese, che ha distrutto l’originaria unità spirituale dell’essere umano. Non vorrei che una monumentalizzazione come quella compiuta dal “Meridiano” fosse un modo per depotenziare don Milani, un tentativo di metterlo sul piedistallo e intanto ignorare la vera portata del suo insegnamento».

L’ipotesi ventilata da Pucci – da sempre molto attivo sul fronte ambientalista e ora impegnato nella stesura di un saggio sulla Rivoluzione integrale imperniata sulla prospettiva dell’enciclica Laudato si’ – è vagliata con la dovuta attenzione dallo storico Sergio Tanzarella, il quale, oltre a partecipare ai lavori del già ricordato “Meridiano”, ha appena dato alle stampe un’autonoma edizione critica degli scritti di don Milani relativi alla polemica sull’obiezione di coscienza (Lettera ai cappellani militari. Lettera ai giudici, Il Pozzo di Giacobbe, pagine 162, euro 14,90). «Pubblicare le opere del priore di Barbiana nella forma in cui sono apparse per la prima volta è altrettanto legittimo del corredarle di note e apparati – sostiene –. Prendiamo il caso della Lettera ai cappellani militari, di cui sono circolate diverse edizioni, con titoli a volte assai fantasiosi. Nessuno, finora, aveva ritenuto opportuno ricostruire le vicende del processo di cui quel testo era all’origine. È quello che ho cercato di fare e il risultato mi pare che renda più viva e attuale che mai la lezione di don Milani. Studiando le carte è stato possibile ricostruire nel dettaglio le minacce subìte dal priore, ma anche chiarire il suo rapporto con il valdese Giorgio Peyrot, massima autorità sull’obiezione di coscienza all’epoca, e l’avvocato Adolfo Gatti, oggetto prima di sospetti da parte dei ragazzi di Barbiana per la sua appartenenza alla borghesia e poi accolto come alleato in un processo dal quale lo stesso Gatti, titolare di un importante studio legale, non aveva davvero nulla da guadagnare».

La contestualizzazione e l’inquadramento storico, prosegue Tanzarella, sono tanto più necessari se si considera il mezzo secolo abbondante che ci separa da quei testi. «Non tutti i lettori di oggi sono in grado di cogliere i riferimenti di don Milani a episodi e personaggi della cronaca di allora – osserva –. Da questo punto di vista, l’utilità delle note mi pare indiscutibile. Dopo di che, se qualcuno ne è infastidito, può sempre saltarle. Non dimentichiamo, a ogni buon conto, che quella proposta dal “Meridiano” è una sistemazione ancora incompleta. Sono convinto che, specie per quanto riguarda le lettere, potrebbero ancora esserci novità e scoperte». Quanto al contrasto fra attualità e monumento, infine, Tanzarella suggerisce di rifarsi al criterio fissato da Adele Corradi, l’amica insegnante che fu invitata a tenere lezioni alla scuola di Barbiana. «Fu lei – ricorda – a sostenere che don Milani aveva indicato un metodo, non fissato una regola. Approfondire la conoscenza dei suoi scritti può impedire di prendere scorciatoie fuorvianti».

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