mercoledì 22 dicembre 2021
Per Piero Bargellini il vero capolavoro del prete-scrittore erano i carteggi, intrattenuti con i grandi della sua epoca. Ora esce un’edizione curata da Antonazzi che va dal 1922 al 1962
Una delle ultime foto di don Giuseppe De Luca a Palazzo San Callisto a Roma (1961)

Una delle ultime foto di don Giuseppe De Luca a Palazzo San Callisto a Roma (1961)

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Una vicenda intellettuale certo. Ma non solo. È stato lui «prete dissimulato nel letterato» a vergare frasi come «dedicarsi nella solitudine allo studio puro sembra chi sa che stoltezza; è invece timore di Dio, è inizio di sapienza». E a palesare una delle sue certezze: scrivendo «tutta la cultura non vale il moto di un’anima». Torniamo a parlare di don Giuseppe De Luca, figura complessa e atipica di sacerdote erudito, editore, saggista, forse l’ultimo umanista del ’900. Un prete che disorientava non poco affermando di voler «servire a Cristo leggendo e scrivendo», «servire Dio nell’intelligenza». Una vita – la sua – raccontata e interpretata in tre biografie fondamentali (che dobbiamo rispettivamente a Romana Guarnieri, Luisa Mangoni e monsignor Giovanni Antonazzi), in raccolte di atti di convegni e incontri (curati da Mario Picchi, Paolo Vian, Donatella Rotundo e altri), ma che ben può ricostruirsi, oggi, pure attraverso i carteggi sin qui editi (di don Giuseppe con Giuseppe Prezzolini, Henri Bremond, Giuseppe Bottai, Giovanni Papini, Antonio Baldini, Piero Bargellini, Massimiliano Majnoni, Fausto Minelli, Benedetto Croce, Carlo Bo, Vjaceslav Ivanov, Romana Guarnieri, Giovanni Battista Montini, Angelo Giuseppe Roncalli – con altro vello Giovanni XXIII e Loris Capovilla…).

Insomma una montagna di corrispondenza dove troviamo via via – dopo l’uscita del chierico dalla giovinezza – il cappellano degli scrittori in partibus infidelium, ma pure dell’Ospizio delle Piccole Suore dei Poveri, il pater familias e l’archivista «ingollatore di polvere» della Congregazione per la Chiesa Orientale, il consulente della Morcelliana e il collaboratore di tante testate, il fondatore delle Edizioni di Storia e Letteratura e dell’Archivio italiano per la storia della pietà al posto della storia della pietà a lungo vagheggiata, l’incompreso 'prete dei rossi' convinto di poter dare un’anima cristiana alla politica «a sinistra», come aveva fatto dialogando con Bottai durante il fascismo, l’uomo al contempo vicinissimo a monaci e banchieri, cardinali e mistiche, filologi e storici, futuri papi e un papa.

Lettere bellissime. «Se io dovessi stampare di te un’opera a mio modo e di mio genio, stamperei il tuo epistolario […], la tua opera più viva è nelle lettere», gli confidava Bargellini già il 27 dicembre ’32. E ancora: «Sono incantato dalle tue lettere». Dello stesso parere era il compianto monsignor Antonazzi che, valorizzando questo ricco corpus epistolare, dopo il profilo edito con la Morcelliana nel ’92 «Don Giuseppe De Luca uomo cristiano e prete», preparò nell’ultimo periodo della sua vita un’altra opera dedicata all’amico. Un lavoro, nato con l’intento di riproporre la testimonianza e il messaggio di De Luca, redatto con un nuovo taglio, tutto annalistico, che vede solo ora la luce grazie alla cura (e alla tenacia) di Paolo Vian, vice prefetto dell’Archivio Apostolico Vaticano al quale Antonazzi l’aveva inviato in dattiloscritto per ottenerne una prefazione, pochi giorni prima della morte, a Morlupo il 16 maggio 2007.

Pubblicato dalle Edizioni di Storia e Letteratura con il titolo Ai confini del Regno. Vita di don Giuseppe De Luca attraverso le lettere (pagine XXVI-426; euro 64), mentre quello pensato dall’autore era Un prete si racconta ai laici. Quasi un diario postumo di don Giuseppe De Luca, il nuovo volume bene esprime identità e ruolo del nostro qui seguito anno dopo anno. Dal 1922 (dopo un capitolo sull’infanzia in Lucania, il trasferimento nel Seminario di Ferentino nel 1909, il passaggio nella capitale nel 1911 e i primi anni nel Seminario romano) sino alla morte (il 19 marzo 1962, una settimana dopo aver ricevuto la visita in ospedale di papa Roncalli). Sullo sfondo, per usare qualche riferimento, le stagioni dal modernismo al Vaticano II, dal Ventennio fascista e del periodo bellico agli anni dell’Italia democratica e della rinascita, ma pure della guerra fredda.

Attraversando larga parte del ’900, incontrando assieme a don Giuseppe, ai suoi famigliari e discepoli, colleghi o superiori, tanti protagonisti della storia ecclesiastica, ma anche politica, culturale, artistica del tempo, spesso lontani dalla Chiesa e comunque suoi amici (e per De Luca la parola 'amicizia' era sacra, tanto che il 17 novembre 1940 confessò a Marino Moretti di aver risolto, sin da giovane, nell’amicizia «l’amore che non posso avere»; come pure sacra era la famiglia «un annesso, quasi, della chiesa»), il lettore assiste al delinearsi di una vita.

Un profilo disegnato rifuggendo la mitizzazione, cogliendosi fedeltà coerente dietro cambiamenti di posizione, soprattutto – osserva il curatore nella nota introduttiva – seguendo in don Giuseppe «quel “laborioso farsi” attraverso mille incertezze, fragilità, dubbi [...] nella netta bipartizione della sua esistenza nelle due stagioni delle “belle lettere” (negli anni Venti e Trenta) e dell’erudizione (dagli anni Quaranta alla morte), sempre prodigando in mille direzioni i doni della sua intelligenza e della sua umanità».

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