venerdì 24 maggio 2013
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“Per colpa di qualcuno non si fa credito a nessuno”. Il monito che campeggia in molte botteghe di provincia dovrebbe essere impresso su ogni ammiraglia al seguito del Giro. Quel qualcuno è il solito corridore che non ha ancora capito che è finita un’epoca, quella della spensierata e sconsiderata frequentazione delle farmacie, dell’inganno dei tifosi, del tradimento dei valori basilari del ciclismo, intrisi di sudore e lealtà, e di quei sogni fanciulleschi che l’avevano spinto a salire in sella. E proprio per questo non si può più fare credito a nessuno. Il rispetto delle regole è fondamentale, chi dimostra di non riuscirci deve essere allontanato, e per un periodo più lungo dei due anni previsti dalla normativa vigente. Offrire una seconda possibilità, è fondamentale, ma nella vita non c’è solo la bici e un corridore può sempre inseguire la sua seconda chance cercandosi un lavoro per guadagnarsi il pane. La positività di Danilo Di Luca lascia increduli. È mai possibile che ci sia ricascato dopo tutte le sue traversie? Dopo aver conosciuto l’ansia della squalifica e la gioia del perdono? Il lupo marsicano perde il pelo ma Di Luca non perde il vizio, si dirà se le controanalisi confermeranno il verdetto del test. Lascia increduli anche la sostanza con la quale è risultato positivo: l’Epo. Un prodotto di archeologia farmaceutica applicata allo sport. Lo stesso usato da Alex Schwazer, il più ricercato e facile da trovare a un controllo. Inoltre, Di Luca da uomo intelligente, sapeva benissimo che, essendo recidivo, sarebbe stato rovesciato come un calzino dall’antidoping. Così come è capitato a Ivan Basso. Fanno bene i colleghi a indignarsi, a chiedere perfino i danni per aver rovinato l’immagine del loro sport, dell’attività che dà loro da mangiare. Così, come fa bene il direttore del Giro, Michele Acquarone, che lo considera “al limite della dipendenza” e non vuole più concedere a “nessuno una seconda chance al Giro”. Il ciclismo ha già fatto i conti con i suoi incubi peggiori, li ha affrontati e li sta scacciando: vicende come queste rendono il cammino solo un po’ più arduo. Qualche mela marcia nel cesto la si può sempre trovare, è inevitabile, è una questione di percentuali, ma ora si riesce a individuarla e a trovare il coraggio di isolarla. Il ciclismo è ripartito dalla sua vocazione alla fatica e al sacrificio, da giovani come Fabio Aru, Diego Rosa e Moreno Moser, che hanno iniziato a correre alla soglia dei vent’anni, consapevoli di cosa li aspettava, per questo meno propensi a cercare scorciatoie. Dopo l’annullamento della diciannovesima tappa la corsa riparte verso le Tre Cime di Lavaredo, neve permettendo. Annullate le tre montagne precedenti (Costalunga, San Pellegrino e Giau) la scalata verso i 2.304 metri (nuova Cima Coppi al posto dello Stelvio) diventa l’ultima possibilità per chi vuole sistemare la sua classifica o dare un senso alla sua partecipazione al Giro. Perché la maglia rosa è già stata vinta da Vincenzo Nibali e domenica, nell’ultima tappa a Brescia, Mark Cavendish ha già prenotato il quinto successo: deve stappare lo spumante per festeggiare la scampata fatica – e il rischio ritiro - delle due tappe dolomitiche.​​​
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