giovedì 23 gennaio 2020
La strage compiuta nel ’37 dagli uomini del generale Graziani è un’eredità con la quale risulta difficile fare i conti. Un libro indaga i fatti e i decenni di tentativi di occultare tanta ferocia
Il monastero etiope di Debre Libanos oggi

Il monastero etiope di Debre Libanos oggi

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Debre Libanos è il più importante monastero d’Etiopia: è il cuore della Chiesa etiopica, la più antica Chiesa africana con caratteri veramente originali, maturati lungo i secoli. Il cristianesimo etiopico è stato l’asse portante del secolare impero che il negus neghesti Haile Selassie incarnava. Il negus rappresentava il legame con la tradizione nazionale, era il protettore della Chiesa, formalmente dipendente dal patriarcato copto di Alessandria d’Egitto, ma in realtà sotto il controllo dei sovrani. [...] A Debre Libanos avvenne una tremenda strage di monaci, diaconi, sacerdoti, fedeli, giovani, studenti, addirittura vicini della stessa area geografica, compiuta dagli italiani nel 1937, specie tra il 20 e il 29 maggio, come risposta all’attentato al viceré, maresciallo Graziani. Questo è il più grave crimine di guerra commesso dall’Italia. Ma, in Italia, non si è parlato di Debre Libanos.

L’ha fatto solo qualche studioso coraggioso, come Angelo Del Boca, che ha ricostruito gli aspetti oscuri della guerra d’Etiopia. In questo libro (Debre Libanos 1937. Il più grave crimine di guerra dell'Italia. Laterza 2020) lo storico Paolo Borruso ripercorre non solo la vicenda della strage, ma anche il tempo in cui viene dimenticata e accantonata, per la resistenza degli ambienti e delle istituzioni italiane del secondo dopoguerra, per la volontà radicata di non ridiscutere il mito degli italiani «brava gente» e di dare un’immagine edulcorata del fascismo. In realtà, la politica coloniale del fascismo è rivelatrice del volto oscuro del regime e della logica di violenza e di odio che lo pervadeva.

Debre Libanos ha rappresentato il culmine e il simbolo della disumanizzazione degli italiani nel conflitto etiopico e nella successiva repressione. [...] Quello che avvenne a Debre Libanos nel 1937 è una sequenza drammatica, degna dei più gravi episodi della seconda guerra mondiale. Fu una strage voluta e non casuale.

I comandi italiani ebbero coscienza che si trattava di un atto veramente grave, che poteva scuotere la sensibilità delle truppe. Tanto che utilizzarono anche le truppe coloniali (musulmane) nella strage dei monaci e nella distruzione della chiesa e delle residenze monastiche, per evitare di urtare i cristiani (italiani o coloniali) con l’assassinio dei religiosi innocenti. Successivamente alla strage, senza deflettere da una logica di crudeltà continuata con altre uccisioni e con le deportazioni nei campi di concentramento, le autorità italiane provarono a nascondere l’accaduto o almeno a minimizzarlo: operazione impossibile, perché la realtà parlava. Del resto erano eloquenti di per sé le rovine della chiesa e degli insediamenti monastici.

Lo studio della vicenda di Debre Libanos non può esimersi dal chiedersi perché fosse necessaria tanta ferocia. Tale spietatezza ha avuto come risultato politico lo spingere gli etiopici su posizioni di resistenza, com’è avvenuto durante il governo coloniale del maresciallo Graziani. Perfino Mussolini, che aveva appoggiato le crudeltà del maresciallo, si accorse che si trattava di una politica sbagliata e si vide costretto a cambiare la linea del governo coloniale, promuovendo viceré il duca d’Aosta. Questi, in controtendenza, s’im- pegnò invece in una politica di valorizzazione delle strutture sociali locali e di pacificazione con la Chiesa etiopica.

Tuttavia la crudeltà era, in qualche modo, «necessaria », per come la conquista etiopica era avvenuta e per l’impronta totalitaria del regime, rivelatasi chiaramente nell’impresa coloniale. Potrà sembrare un’affermazione paradossale: la crudeltà era necessaria, perché il fascismo con questa guerra agiva in modo totalitario e mostrava il suo volto totalitario. Si doveva sradicare la società etiopica, che aveva una struttura elaborata, connessa a uno Stato indipendente, membro della Società delle Nazioni, fondata su stratificazioni storico-religiose. Ma come farla tornare indietro a essere solamente una terra di colonia, senza identità e storia? Per questo era necessario distruggere e sradicare. Si doveva fare del mondo etiopico quasi una «tabula rasa», incapace di resistere alla dura dominazione coloniale italiana.

Così anche il governo del duca d’Aosta (che pure rappresentò una pausa di respiro dopo le repressioni di Graziani) era destinato al fallimento. Il consueto sguardo bonario e autoassolutorio sulle storie italiche, magari abituato a indulgere sull’inefficienza italiana, nasconde la strategia che presiede alla conquista fascista dell’Etiopia: distruggere un mondo che aveva una dignità (con tutti i suoi limiti, la sua instabilità tradizionale e le sue arretratezze).

Questo mondo aveva il suo punto di forza nella connessione tra una monarchia consacrata religiosamente e la Chiesa etiopica: il monastero di Debre Libanos rappresentava questa connessione «sacra» con la sua storia e la sua presenza. [...] La strage dei cristiani di Debre Libanos colpisce anche perché gli ufficiali e i soldati italiani venivano da un paese cattolico, che nel 1929 aveva riaffermato la sua cattolicità con i Patti del Laterano. E, proprio durante l’impresa etiopica, era emerso il consenso cattolico attorno al regime. Tanto che Mussolini si disse soddisfatto per l’atteggiamento del clero e dell’episcopato nella guerra d’Etiopia: «altamente commendevole dal punto di vista patriottico et morale», scriveva ai prefetti nel 1935. Il consenso cattolico, come il cattolicesimo delle truppe e dell’ufficialità, non frena gli atti anticristiani sugli etiopi e i loro luoghi santi.

È un altro interrogativo interessante: come fu possibile tutto questo? C’è un capitolo della propaganda di guerra che riguarda specificamente il cristianesimo degli etiopi e che venne alimentato dai cattolici italiani, vescovi, religiosi e missionari. La Chiesa etiope, la cosiddetta Chiesa täwahedo – ne ha scritto la storia in modo tanto documentato e ampio Alberto Elli –, dipendeva dal patriarcato copto di Alessandria d’Egitto, nonostante la sua autonomia; ma era considerata scismatica dalla Chiesa cattolica. Ci fu una propaganda del disprezzo nei confronti dei cristiani etiopi e delle loro istituzioni ecclesiastiche, condotta dai religiosi cattolici. Fu un modo di legittimare dal punto di vista religioso la conquista italiana dell’Etiopia, ma anche di screditare agli occhi degli italiani la Chiesa etiopica, il suo personale, la sua liturgia e i suoi ambienti. [...] credo che la Chiesa italiana abbia aspettato troppo tempo a prendere coscienza di questa storia, che l’ha vista – certo non attivamente, ma convintamente – sullo scenario di una guerra e di operazioni repressive, solidale con il regime nell’opera di discredito dell’altro etiopico, a cui si negava persino la qualità di cristiano. In realtà, scrivendo del martirio cristiano nel XX secolo, ho sentito anni fa la responsabilità di parlare dei caduti di Debre Libanos come di «nuovi martiri» del Novecento. Tali infatti mi sembrano essere.

Naturalmente la responsabilità prioritaria delle stragi fu del governo, delle istituzioni e delle forze armate d’Italia. Dopo la guerra, furono bloccati i processi contro i principali responsabili, Graziani prima di tutto, ma anche il generale Pietro Ma-letti, che fu l’esecutore dei crimini a Debre Libanos. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha reso omaggio agli ex combattenti etiopici contro l’Italia fascista ad Addis Abeba, proprio nel luogo dove avvenne l’attentato a Graziani nel 1937. Ma stiamo ancora aspettando dalle istituzioni e dalle forze armate una presa di coscienza ufficiale sulla strage di Debre Libanos e le complessive repressioni del 1937. Quella strage rappresentò il culmine dell’assurdo in un processo di «imbarbarimento» dei soldati, necessario a condurre una lotta a oltranza per la distruzione delle strutture tradizionali e nazionali dell’Etiopia. [...] La guerra italiana agli etiopici, all’impero cristiano e alla sua Chiesa, mostra con tutta evidenza il volto brutale del fascismo. Mette in luce anche la miopia di tanta parte del cattolicesimo, irretito nel nazionalismo (seppure Pio XI fosse critico sulla guerra fascista). In quegli anni, l’impasto di violenza coloniale, totalitarismo, razzismo (e poi di antisemitismo) rivela la realtà di quello che il fascismo è veramente stato e di come andava diventando col passare degli anni di dittatura.

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